La «mirabile visione» (XL-XLII) II finale vero e proprio della Vita nova comincia, dopo i capitoli dedicati áFincontro con la «donna gentile» che prowisoriamente consola Dante, con ľapostrofe ai peregrini, che passano per una via di Firenze. Questa presenza in un paesaggio legato in maniera indissoluble alia sua memoria ispira a Dante un paragone tra se stesso e i pellegrini; un paragone che inawertitamente trasporta la scena «dal palcoscenicp della via a quello . Jelľanima...; ľio scopre una sostanziale analógia fra la situazione dei peregrini e la sua condizione interiore» (Picone). Dante, in altre parole, ca-pisce di essere stato tino a questo momento della sua vita (e delľoperá che va componendo) un peregrino, impegnato in un «viaggio» che. ě in realtä una difficile ricerca esistenziale: sono quelle persone dirette verso una meta religiosa a fargli capire iJ senso vero del transitus (il passaggio sulla terra) di Beatrice e il senso del proprio possibile viaggio verso Beatrice. Solo tale scoperta, che sarä sancita dalľultimo sonetto del libro (al cui v. 8, infatti, il sohto spirito viene ora definito peregrino), gli permette il salto finale oltre la spera: un «viaggio» o appunto un pellegrinaggio, annun-ciato dalla «mirabile visione» delľultimo capitolo, ancora piú straordina-rio di quello raccontato dalla Vita nova, e per il quale, almeno per il momento, non esistono parole adeguate. Questo ě, allora, il significato del-ľinterruzione al cap. XLII, allorché Dante, dopo quella «mirabile visione» decide di «non dire piú di questa benedetta infino a tanto che io pôfésse piú degnamente trattare di lei»: con ciô «promettendo» un'opera futura cReTlnvece, non affronterä ancora per parecchi anni, e che poi sarä la Commedia (in ogni caso, non vanno accettate le ipotesi di chi ha addirit-tura pensato che ľultimo capitoletto sta stato aggiunto in un momento successivo alia prima redazione della Vita nova, quando Dante aveva giá chiaro in mentě il disegno della Com media). Sfitlotutligli aspetti, dunque, ľultimoepisodiodella Vita runa puô es sere considfTafn una prefigurazione della Commedia: nella coerenza clel-1 immaginc del poeta come homo viator ("viaggiAtviv") medievale Inci \.. m° i}8, al v. 13, la «vita humana» v ileíiniia «c|iiatlani peregrination), alia cpntinua ricerca di una verita ultima sul senso drilu propria vita e sul sen- Ľapostrofe ai peregrini e il pellegrinaggio di Dante Ľultimo pellegrinaggio oltre la spera La «promcssa» della Commedia Iji linea tesa tra Vita nova u CRISI DEL MONDO COMUNALE ,joo-, so dclin torza che secondo la tradizione cortese nella quale Dante si $ c mdfo, ma in im modo fuířo nuovo c piú profondo - continua inčřssa mentea modéttUK e mpingere la vita lungo stradě diverse, verSo e" iconosdutc la tor/n dcWAmore U ft introduzione a A ciascun'al**, ****** [»0 f^Stlf^ÄW-n9'1 XL. Dope questa ö*^£3£ £ fiÄSft rinÄ^ - pg-. rD,to pens°:; önd'io pensa^do a loro, dissi fra me medesimo: «Questi peregnni mi paiono di lontana parte, e non credo che anche udissero parkte dl questa donna, e non ne sanno neente*; anzi Ii loro pensen sono d aitre cose che di queste qui5, che forse pensano de Ii loro amici lontani, Ii quali noi non conoscemo». Poi dicea fra me medesimo: «Io so che s'elli fossero di prr> pinquo paese, in aicuna vista6 parrebbero turbati passando per lo mezzo de la dolorosa cittade». Poi dicea fra me medesimo: «Se io Ii potesse tene-re alquanto7, io Ii pur farei piangere anzi ch'elli uscissero di questa cittade, perö che io direi parole le quali farebbero piangere chiunque le inten-desse». Onde, passati costoro da la mia veduta, propuosi di fare uno so-netto, ne lo quäle 10 manifestasse cid che io avea detto fra me medesimo c acao che p,u paresse pietoso«, propuosi di dire come se io avesse pari* i. Dopo quesu tribuiazjone ßmzM»ncgmalpc..... ^^Li-doßOagentW.dta- " WJo di Mttteo, 2Tz9T«Sta- 108, e lascerä un'altra traccia nel sonetto petrarchesco Movesi il vecchierel, Canzo-mere, XVI (cfr. pp. 471-474). 3. a Iq u.um peregrini... donna: ľo<*ra«innŕ del soneffn » A~*~ J-i del soneno e data dal passaggio dei ro mei - come Ii chiamerä subito dopo Dan te, dei peregrini cioe diretti a Roma - f*1 via centrale di Firenze. v: niente, forma arcaica, da tempo dir gJorio«amcnte: la [IUn* »anta, nella .J**™" a Roma per una 4- neente ente. í anzi ľ"**"* J w4o dd RrtlJ. ,ul p*r é (^ívano Jj 1 duian,e h u quciiu ^ rnurio si sono col tefiH -/< /uXííľrou ti/#djľ- desta in lui & 'Ii Uiahumruu, (che prelude ad 10 w (»»«Uiao rr«« ira"enere co°i«lovente. iualcosa del lor un po' T2.I DANTE ALIGHIERI. VITA NOVA 169 to a loro; e dissi questo sonetto, lo quäle comincia: Deh peregrmi che pen-sosiandate. Edissi "peregrini" secondo la larga significazione del vocabu-lo- che peregrini si possono intendere in due modi, in uno largo e in uno stretto: in largo, in quanto e peregrino chiunque e fuori de la sua patria; in modo stretto non s'intende peregrino se non chi va verso la casa di sa' Ia-copo o riede9. E perö e da sapere che in tre modi si chiamano propria-mente le genti che vanno al servigio de l'Altissimo: chiamansi palmieri in quanto vanno oltremare, lä onde molte volte recano la palma; chiamansi peregrini in quanto vanno a la casa di Galizia, perö che la sepultura di sa' Iacopo fue piü lontana de la sua patria che d'alcuno altro apostolo; chiamansi romei in quanto vanno a Roma, lä ove questi cu' io chiamo peregrini andavano10. Questo sonetto non divido, perö che assai lo manifesta la sua ragione. E dissi "peregrinT ... riede: Dante al si-gniricato stretto del vocabulo "peregrini" 1 cioe coloro ehe si recano al santuario di Santiago de ComposteJa in Gaiizia, la casa di sa' lacopo, di san Giacomo, chi ad essa va o da essa riedet torna) ne sovrap-pone uno piú largo (é peregrino chiunque é fuori de la sua patria): é il primo passo indirezionedi un'«interpretazione»sim-bolica del pellegrinaggio, quale sará esphcitata nel capitolo seguente. 10. in tre modi ... peregrini andavano: vi en c specificata una corretta terminológia tecnica da impiegare per distin-guere tre diversi tipí di pellegrini (i qua-li comunque vanno tutti al servigio de l'Altissimo, di Dio): i palmieri ehe si recano in Terrasanta {oltremare), da dove spesso riportano la palma (usanza ricor-data anche in Purgatorio, XXXIII, 78); i veri e propri peregrini (Santiago ě infat-ti Íl luogo di pellegrinaggio per eccel-lenza, in quanto la sepoltura di san Giacomo tu piú lontana dal la sua patria di quella di tutti gli altri apostoli [si erede-va ehe il suo corpo avesse affrontato una traslazione miracolosa dalla Palestina a quello ehe allora era considerato ľestre-mo Occidente]); e infine i romei (come appunto quelli a cui si rivolge in que-sťoccasione Dante), cioe quelli ehe vanno a Roma. Deh peregrini che pensosi andate (XL) non - djretto Ii-- .! Beatrice ne alle donne che di volt a in volta flßo y^tituita nelle sue funzioni: per questa ragione e da aecostare ai P/imi rnrrj^nanentjjfclla Vita nova, come jTaascunalma presu ufr. p. A°U ^^«idoM di pcllejjirini diretti a Roma, Dante «sembra voler dinondere lA^rnrnip la mrfiria deLla rnoiic di Beatrice in tutto il mondo Ct'no:>uut'j~ ( j'diij/ La iiiriiiona , Ii lirairur viciu* crleluata inolliplican . ' eco del dolore per la sua morte e trasierendola su di una slera supe-r'ore a quella urnana: e il sonetto culmma al v. 12, dove il nome della donna viene^dato atiraverso Pesplicita dichiarazione del suo significato beati-ncanteecosi ricondotto «alle sue funzioni etimologiche» (Contini). METRO: sonetto. Quarüne: ABBA ABBA; terzine: CDE DCE. SimilitUv con le prime poesie .lilii klí.. HOV* La notizi* dclla moru di Beatrice I ■■■■MP ai ptrtfTít ' BÖ«.«**" Deh peregrini che pensosi andate, forse di cosa che non v e presente, venite voi da silontana gente, com' a la vista voi ne dimostrate, che non piangete quando voi passate per lo suo mezzo la citta dolente, come quelle persone che neente par che 'ntendesser la sua gravitate? Se voi restaste per volerlo audire, certo lo cor de' sospiri mi dice li 14 cheia^andon'uscirestepu.. EU'haperdutalasiatearW^ ek parole ck'»»*,. hanno vertu di far piangerealtrui v. 2. di qualcosa che e lontano da voi. w. 3-8. «voi provenite, come dimostra il vostro aspetto, da un paese cosi lontano, che non piangete nell'attraversare questa citta del dolore, quasi foste persone che nulla sappiano (neente / par che 'nten-Jeaer) del lutto che l'ha colpita (la sua gravitate)}*. La domanda rivolta ai pere-gnm necheggia quella con cui Cleofa apostrofa Cristo sulJa via di Emmaus: «Tu talus pcrcgrinus es in Jerusalem, et non cognovisti qua? facta sunt in ilia his dacbu»^», 'Tu solo sei pellegrino in Ge- rusalemme, e non conosd cosa ě in accaduto in questi giorni?" (Luca, 25,18). v. 9. Se voi restaste: Se vi fermaste. w. 10-11. «il cuore sospirando (de' sospiri ě complemento di strumento: con i sospiri) mi dice che poi uscirete dalla cittä piangendo». Notare la rima siciliana pui / altrui. v. 12. «La cittä ha inřatti perduto la donna che ne costituiva la beatitudine». Ě questa, in effetti, 1'unica volta che il si-gnifícato del nome delladonna viene di-chiarato in modo esplicito. XL1. Poi mandaro due donne gentili a me pregando che io mandas loro di queste nue parole rimate1; onde io, pensando la loro nobilita^ propuoá&iundare loro e di fare una cosa nuova, la quale io mandasse T^?"tc' Pi" onorevolemente adempiesse li loro prieghr ~mZO?bOnm0'10 qusde Mrra del mio ««o, e manda lo a loro sooctio accompagnato, e con un altro che comincia: Vild in leguito due «uno a pfcgarnu dl detta mobdttédr dcUc donne e 1 JH.. \ ""Ii I i •L 41.U.I0KM poccica, anterl0' lovu, e la puma che conosc»* _» IDr Robertu,), costituita^ u-nu Muiuralniciue) disonetti: O/** k tpera, il precedente Deh peregrini JJJJ « inttndtr Iche si legge nel <*P' XXXU deUa Vite not*, dove era gia UWU *™-u>corne těsto mm--- —u«ve era gia p»c commissioner)- DANTE ALIGHIERI. VITA NOVA Lo sonetto lo quale io feci allora, comincia: Oltre la spera; lo quale ha in sé cinque parti4. Ne la prima dico ove va lo mio pensero, nominandolo per lo nome ďalcuno suo effetto*. Ne la seconda dico perché va la suso, cioe chi lo fa cosi andare. Ne la terza dico quello che vide, cioe una donna onorata lä suso; e chiamolo allora "spirito peregrino", acciö che spiri-tualmente va la suso, e si come peregrino lo quale ě řuori de la sua patria, ví stae6. Ne la quarta dico come elli la vede tale, cioe in tale qualitade7, che io non lo posso intendere, cioe a dire che lo mio pensero sale ne la qualitade di costei in grado che lo mio intelletto no lo puote comprendere8; con ciö sia cosa che lo nostro intelletto s'abbia a9 quelle benedette anime si come l'occhio debole a lo sole10: e ciö dice lo Filosof o nel secondo de la Me-tafisica11. Ne la quinta dico che, awegna che io non possa intendere lä ove lo pensero mi trae, cioe a la sua mirabile qualitade, almeno intendo que-sto, cioe che tutto ě lo cotale pensare de la mia donna12, perö ch'io sento lo suo nome spesso nel mio pensero: e nel fine di questa quinta parte dico "donne mie care", a dare ad intendere che sono donne coloro a cui io pário. La seconda parte comincia quivi: intelligenza nova; la terza quivi: Quand'elli é giunto; la quarta quivi: Vedela tal\ la quinta quivi: So io che park. Potrebbesi piú sottilmente ancora dividere, e piú sottilmente fare intendere; ma puotesi passare con questa divisa13, e perö non m'intrametto di piú dividerlo14. 4. cinque parti: la divisione ě piú minu-ziosa del solito. 5. nominandolo ... suo cffctto: «chiaman-dolo con il nome di un suo effetto», cioe, ancora una volta, attraverso la manifesta-zione sensibile del sospiro (come si leg-gerá nel v. 2 del sonetto). 6. chiamolo allora ... vi stae: nel riallac-ciarsi alTaccezione larga della parola peregrino (che abbiamo letto nel cap. XL), Dante precisa che la definizione del pro-pno pensiero/sospiro come peregrino va rntesa sptritualmente, in spirito, proprio per evitare 1'accezione střetla del voca-Dolo: esso ě tale perché si spinge fuori della sua patria terrena, verso la propria patria celeste. 7. in tale qualitadc: in tale stato. 8- lo mio pensero ... comprendere: U mio Pensiero s'innalza nella considerazione dello stato di lei ad un grado tale che il "Uo intelletto non lo puö comprendere. 9. con cib sia cosa ... s'abbia a: poiché il nostro intelletto sta in rapporto con {s'abbia a ě termine del linguaggio filoso-fíco, dal latino se habeal ad). 10. si come ... a lo sole: paragone consue-to della tradizione lirica duecentesca. 11. lo Filosofo ... Metafisica: Aristotele, fi-losofo per antonomasia, nel secondo libro della Metafisica (in un passo citato anche nel Convivio, II, rv). 12. tutto é ... mia donna: «questo pensie-ro ě interamente rivolto a Beatrices cioe: pur non comprendendo esattamente a quali altezze il suo pensiero si fbtM spin-to, tratto tiulla mirabtle qualitade di madonna, Dante comunque sa una cosa: the quel pensiero era interamente rivolto a lei. 13. puotesi ... divisa: ma puo andar bene con questa sola divisione. 14. non ... dividerlo: non mi prendo cura di dividerlo ulteriormente. (XII) , j_ c^toacH* Vité *<* M\A „toria ultraterrena dijjn pe„ nafO ncK'iorc *- 'Or „„ ,wr/M). Hniscr per gningere o|tre ,1, rJnmeo. vcniva defimto pri Zjjp-^. orl M*temi "*m77in ',;, (}ir n,ofa pi" vdncementf v X Mil. ^o-Ti) Al A '^^r'^re ,1 Primo Mobile equ.vale «riand'dli egiunto la dove disira, vnJc una donna, che ncevc onore, c luce la. che per lo tun nplcndorc "1 mi ridice, » no b mendo. si c*rU sonde aoordolcnce. che (o fa parUre ip dW p—i> ^ j acniii 5TÍ*fT~0~1^ tv.!r,cc U I I I »111 , u-áT Qai# Li£S3L DANTE ALIGHIERI. VITA NOVA XLII. Appresso questo sonetto apparve a me una mirabile visione1, ne Ja quak io vidi cose che mi fecero proporre di non dire piü di questa be-nedetta infino a tanto che io potesse piu degnamente trattare di Lei*. E di venire a ciö io studio3 quanto posso, si com'ella sae veracemente. Si che, se piacere sarä di colui a cui tutte le cose vivono4, che la mia vita duri per alquanti anni5, io spero di dicer di lei quello che mai non fue detto d'alcu-naf. E poi piaccia a colui che e sirc de la cortesia7, che la mia anima sc ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna, cioe di quella benedetta Beatrice, la quäle gloriosamente mira ne la faccia8 di colui qui est per omnia secuta benedictus9. 1. mirabile visione: alia visione del precedente sonetto succedc un'ulteriore,_ definitiva visione, che viene raccontata e convince 1'autore a mettere prowisona-menre hne ad ogni discorso su Beatrice. 2. mi fecero ... di lei: «fecero in modo ch'io mi proponessi di non parlare piú di Beatrice fino al momento in cui non fos-si in grado di trattare di lei in modo piú degno»: il silenzio diviene assoluto, e neppure la lode puó piú infrangerlo. 3. studio: «mi adopero, faccio in modo che», secondo l'etimo latino studeo. 4. se piacere ... vivono: se piacerá a Dio, designato secondo la formula di Luca, 20,38 («omnes enim vivunt ei», "tutte le cose vivono per lui"). 5. che la mia vita ... anni: eco della Ecloga IV di Virgilio (testo amatissimo nel Me-dioevo), w. 53-5: «0 mihi turn longas ma-neat pars ultima vitae, / spiritus et quantum sat erit tua dicere facta: / non me carminibus vincet...», con il quale si sal-da «quel collegamento fra cultura classi-ca e cultura cristiana che giá Cicerone (e Boezio) avevano permesso sul piano del-l'ideologia» (De Robertis) e che ě sempře all'opera in Dante. 6. io spero ... d'alcuna: in base a questa battuta si ě voluto leggere il finale del hbello come un chiaro programma del-la Commedia. Ora, non e'e dubbio che, giunto a questo punto, il «pellegrino» Dante debba compiere una svolta e un salto in avanti, oltre la spera: ma non pare che di tale salto Dante abbia gia ora in tutto e per tutto chiare le coordinate. 7. sire de la cortesia: l'attributo, che fa il paio con quello di Beatrice nel cap. XII {donna de la cortesia) pud riferirsi tanto ad Amore (come vuole Gorni, che ri-manda alia «profezia» del cap. Ill) che a Dio: molte le discussioni dei critici al ri-guardo. 8. la quale ... ne la faccia: contemplare il volto di Cristo e facolta degli angeli, ma anche di Beatrice, come gia detto nel cap. XL {la sua bellissima figura, la quale vede la mia donna gloriosamente). 9. qui... benedictus: «che e benedetto per tutti i secoli»: citazione presente negli scritti di san Paolo e ricavata dal Salmo 7/, 17 («Sit nomen eius benedictum in saccular, che spesso veniva usata dai copi sti (come Dante alle prese con il libra de la memoria) al termine della loro tatica (si trova anche alia fine della celebre Epi-stola XIII a Cangrande della Scala, cfr. pp. 246-251). «Cosf questo libro, comin ciato con la proposizione del titolo ("/«-cipit Vtta nova"), si chiude con la formula scrittoria tradizionale di ringraziamen to» (De Robertis). -Tlí SS- ^nhca,^eCn rimedio naturale: neSSUnP> magine. ., „„de Ja sua bellczza farebbe innamorare au lÄrpÄzÄi» "cssun,aitra donna 10 é mai -s* precedcnz.1. , ; jnnamori del poeta i fiumi scotrer a M. P^JSÄ dormirebbe volentieri sulla pietr * 'an. Pur sParit^ no al contrario; c pensarc u«. ~------- di poter vedere solo il luogo al quale Je sue věsti fanno ombra. Congedo: a ogni caJar deJJa sera, Ja donna vestita di verde fa /'ombra avanzante, come J'erba che cresce fa sparíre Ja pietra. metro. ^únilipcA (smemanietrico inventato da Arnaut Daniel, con la šestin / ^WrTqju^tralE una canzone di sei stanze, di sei versi ciascuna (tutti Jnj'* Ubi). Quam verso termma con una parola (detta «parola-rima») che d*II^i stanzaTn pof, siripresenta mutando di posiziöne (per ordine di apparizione rieÜ'ambito Adľľstmzaí »etondo uno schema prestabUíto detto retrogradatio cruciata (sostituendola jma con Üultima, la terza con Ia penultima e cosi via, continuando sino a WW aaunre Je possibili combinazioni: ABCDEF FAEBDC eccetera). Lc paroITnrna tra loro non rimano, anche se ě possibile in qualche caso associarle a due a due per assonanza (per esempio, in questo caso, donna-ombra; petra-erbá) D concedn dt ire vera, npresenta le sei parole-rima, due per verso. i-i «S, Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra son giunto, lasso, ed al bianchir de' colli, quando si perde lo color ne Verba: e '1 mio disio pero non cangia il verde, si e barbato ne la durapetra chc parla ejente come fosse donna. Similemente questa nova donna Colli ki t0 onnai, ahimé, al ,fp>jo)c|a cesura tra ri ed k (che costituiscono due sillabe separate, con un particolare ettet to di durezza e di sforzo). Al v. 6 via esphcitato, con violenta concentra-'kH linguistica, che petra e il nome W* (quello che i pmveiuali chiaiiuv** ienhal) della donna cui sono dedi«-"J vv pej nine 7-U. kADo tempo hr* ^ moJo (con la stessi Jel poeta) qitf' u- ^heěneJlo stesso * un atteggiamento non í ° deUa neve aü'oin-n la conunuovc {non lä "Ile puô commuovere ne") hi rt,l DANTE ALIGHIERI. LE RIME DEIXA MATURITA E DELL'ESILIO 10 15 20 25 si sta gelata come neve a l'ombra: che non la move, se non come petra, il dolce tempo che riscalda i coüi, e che Ii fa tornar di bianco in verde perche Ii copre di fioretti e d'erba. Quand'ella ha in testa una ghirlanda d'erba, trae de la mente nostra ogn'altra donna: perche si mischia il crespo gjallo e '1 verde si bei, ch'Amor lf viene a stare a l'ombra, che m'ha serrato intra piccioli colli piü forte assai che la calcina petra. La sua bellezza ha piü vertu che petra, e '1 colpo suo non puö sanar per erba: ch'io son fuggito per piani e per colli, per potere scampar da cotal donna; e dal suo lume non mi puö far ombra poggio ne muro mai ne fronda verde. Io l'ho veduta giä vestita a verde, si fatta ch'ella avrebbe messo in petra 77-l'amor ch'io porto pur a la sua ombra: ond'io l'ho chesta in un bei prato d'erba, innamorata com'anco tu donna, \ una pietra, la nuova stagione che riporta il tepore nei colli e Ii fa tornare, da bian-čhi, verdi, coprendoli di vegetazione (di fwřěitt e derba)». L'immobilitä, che nel- jU prima stanza era un carattere del poeta.. e ora attribuita anche alia donna che questi medesimi efretti ha causato in lui. w. 13-18. «Quando porta un'acconeiatilra a ghirlanda di foglie (e fiori), la sua imma-gbe caccia dalla mia mente quella di qual-siasi altra donna: perche la sua capigliatu-ra bionda e ondulata, cioe i suoi riccioli biondi (// crespo giallo), si mescola alle fronde verdi, in modo cosi bello, che Amore viene a dimorare If, all'ombra dei capelli, ^more che mi ha imprjgionato ^errato) tra collinette, assai piu stretta-tt»«He di quajiio la calce non faccia alia nigTitt fljuogo in cui il poetacolloca la sua esperienza (t ptccioli colli) e un locus emoenus, in cui dimora Awcw, second" la tradizlone; ma il fatto che il poeta vi sia serrato dalla malia della donna-Pietra lo ren-de una specie di carcere, tutto men tale, vv. 19-24- «La sua bellezza ha piu virtu di una pietra prezdosa (secondo le credenze dei lapidart medievali, le pietre avevano capacitá di agire sulk- facoltá umane), e la ferita che essa procura non puó trovare guarigione con nessuna erba medicinale ('/ colpo suo non pud sanar per erba): tan-to che io son fuggito per pianure e per colline per trovare scampo da questa donna; dalla sua luce non mi possono ri-parare {far ombra) nessun'altura {poggio), nessun muro, nessuna pianta {fronda ver-de)». II motivo della «fuga» del poeta dalle immagini cKe Io serrano nella morsa ďamore,"della sua vana ricerc ^ «*rht>r-mi», naturali o artiticiali, che lo possano proteggere dalla distruttiva passjpne _amqro"5a\ viene in questi versi portato da". Dante a grande intensita: e verra \aria mente riprešo nel Canzonierc di Petrarca.; ~vv. 25-30. «lo ho visto questa donna ve-stita di verde, in atteggiamento tale che persino a una pietra si sarebbe tjjjsmesso quell'amore chc io porto persino {pur) alia sua ombra: tanto che l'ho desiderata {chesta, da chiedere) in un bel prato er-boso, chiuso intomo da alture invalicabi-li, innamorata come nessun'altra don- 30 Ma lx*n riforncranno i fiumi a colli prima che quvsto Uyjio mollc c verde s'infiammi, come suhlTär Deila aonna, dt nie; cfac mi tOfTCJ dnrmire in petra rufr<> il Bio tempo e gir pascenc/o l'erba, sol per veder do' suoi panni (anno ombra. Quandunque i colli (anno piü nera ombra, sotto un bei verde Ja giovane donna la fa Sparer, com'uom petra sott'erba. J'altissimi colli- viene indicata con una metafora ch« m. dlca la sua natura temminile (mo/fc) e]| sua giovinezza (veW*). II v. 36 pracjWj ^ giovinezza uno struggente spostamento (per nimia) del desiderio lungo una cat n^Dnnamoramentodella donnae solo una fantasia del poeta o p.uttosto un w. ji 36. «Ma pnma che questo legno verde c molle si infiammi per me delie ,— oWe, come sogüono fare le oggetü sostitutivi: con un proceed le 1 idea molto diffusa della che sarä fatto proprio da Petrarca lCu. "Äeicijon^entili najninu chi ad esempio in tutta la canzone TOfinäfi^^ /resche e dolei acque, cfr. pp. 497-502) rancCTcaoaIfimiruneTcänto V del- w. 37-39. «Ogni volta che (quandu (i humi scorreranno al contra- i colli danno un'ombra piü scura, L, o i colli; c si che io tollererei (mi vane donna fa sparire quell'ombra sotto - n.,A'<", da ehe qualsiasi corazza {spezzan ciascun'arme), tanto ehe io da lei non so né posso difen-dermi (atarme). w. 14-21. «Non trovo scudo ehe ella non spezzi, né luogo ehe mi ripari dal suo sguardo: poiché _questa donna si éjm-possessata (j-ien la cima, "oceupa i^pun-Lo piu alto") delia mia mente, al modo stesso in cui U fipre occupaTTcima dello stelo (frondji). Pare ehe tanto tengacura {si prezzi) del mio eruccio, quanto una nave {legnó) si eura di un mare tranquil lo (ehe non lieva onda, "ehe non fa alzare ľonda"); e ľaffanno ehe mi toglie il re-spiro (7 pesn -' " spiro C! Z , no cne mi toglie il re- sen- u/c m affonda) é tale nessun verso potrebbe dirlo, raPPreSfľ, tarlo in modo adeguato {non potrtW* adequar rima: rima é soggetto)»- Q***1 seconda stanza inizia con la ripresa (*" — v- mi. condo il sistema delia cobla capfi*** w- 9-iJ. al contrarin íl* <-nn^ . tlclla mctdt°ra militate, con cui si CC* b- q- valore l^^^ ed k stanza precedente, e p* * svolge in un succedersi di nuove meta*0" re, ehe si generano quasi automatic3' merne ľuna dalľaltra (quella del fio* sulla ctma dello stelo, quella delia nave m mare, quella del peso ehe affonda, a O* segue al v. Z2 la metafora delia litnal u r ano (la congiunzione ed ha qui valore awcrsativo), ella colpisce monalmente (ella ancide), tanto ehe non serve ehe ci si schermi (ch'om si chiuda) o d si allomani dai suoi colpi mortali, i quali, come volando, giungono a segno (altrui ha valore impersonale) e rompono DANTE ALIGHIERI. LE RIME DELLA MATURITA E DELL'ESIUO 30 Ahi angosciosa e dispietata lima che sordamente la mia vita scemi, perché non ti ritemi sř di rodermi il core a scorza a scorza com'io di dire altrui chi ti dá forza? Ché piú mi triema il cor qualora io penso di lei in parte ov'altri li occhi induca, per terna non traluca lo mio penser di řuor sí che si scopra, ch'io non fo de la mořte, che ogni senso co li denti d'Amor giá mi manduca: cio ě che '1 pensier bruca la lor vertú, sí che n'allenta l'opra. E' m'ha percosso in terra, e stammi sopra con quella spada ond'elli ancise Dido, Amore, a cui io grido merze chiamando, e umilmente il priego: ed el d'ogni merze par messo al niego. Egli alza ad ora ad or la mano, e sfida 40 w. 22-26. il tormento di questo amore che senza farsi sentire ali'estemo (sordamente) sta consumando la vita del poeta (la mia vita scemi) viene indicato, grazie ad juna splendida immagine ricca di concetti, con laTffetaíbrá della lima che non ha ritegno, non sí trattiene (non ti ritemi) di rodere // coreascoržaascorza. Questa spietatezza ě meSH fl COflfiromolron il ritegno che il poeta, malgrado tutto, conserva nel nfiu-tarsi di rivelare a qualcun altro (altrui) chi sia a dare forza a quella lima del delirio amoroso (chi ti cla forza): cosi egli non ri-řensce I'identita della donna-Pietra. vv. 27-34. «Poiché (agganciato al periodo precedente) piú trémo (mi triema il cor), quando mi accade di pensare a lei in un luogo dove qualcuno mi veda (in parte w'altrt li occhiinduca), per il timore che il niio pensiero amoroso possa apparire al-1 estemo (non traluca / lo mio penser di far, costruzione latina di temere + non) cosi da venir scoperto, di quanto io non třemi della mořte (non fo, riprende il triema del v. 27, dove il verbo fare sostituisce la ripetizione del primo verbo, come si usava nelle comparazioni), che gia mi aanrrifrrftm +4tUÚ ^'Awpw (manduca) sensi; ínfatu awiéne che ^ potenza dei denti ď Amore (la lor vertú) corrode (bruca) il mio intelletto, sino a ri-durne la capacita operauva». üimpiego di immagini fisiche, corporec i triema, traluca, manduca, bruca), accompagnata ďal-la splendida immagine dei denti d'Amor, ,. dä una forza del tutto nuova al motivo delTazione logorante delT amore, tipico 1 del repertorio cortese e stilnovistico. w. 35-39. «Amore mi ha abbattuto a terra, e mi sovrasta minacciandomi con la stes-sa arma con la quale mise a mořte Dido-ne: a lui io mi rivolgo chiedendo pieta (merzé chiamando), e lo invoco umilmente: ma egli sembra deciso a negare ogni pieta (ďogni merzé par messo al niegó)». Uamore di Didone per Enea, cantato nel IV libro deU'Eneide di Virgilio, era em-blema, per la cultura medievale, di amore irragionevole e lussurioso (e nell7n/