1 Corso di Laurea: Lingue e letteratura Italiana Insegnamento: Letteratura italiana Prof. Matteo Maria Quintiliani Titolo: I Rerum Vulgarium Fragmenta di Francesco Petrarca I sonetti conclusivi della redazione Coreggio e della redazione Chigi: Rvf, 292 e 304. Abbiamo visto, nella lezione precedente, ma conviene ribadirlo, come il primo sonetto del Canzoniere, Voi che ascoltate in rime sparse il suono, inserito per la prima volta nella redazione Correggio, fu scritto con molta probabilità da Petrarca nel 1350 e così come si presenta dovrebbe presupporre che Petrarca sia, a quella data, già fuori da ogni vaneggiamento d’amore. Dobbiamo notare, quindi, che Petrarca pensava nel 1350 di poter costruire un canzoniere che dimostrasse, usando le parole del testo, che quanto piace al mondo è breve sogno, e che è arrivato il momento del pentimento e soprattutto il momento di chiedere perdono. Tuttavia Petrarca, più avanti, in uno dei ultimi sonetti dell’opera (364) Tennemi Amor anni ventuno ardendo, scriverà, proprio in prossimità della conclusione dell’opera, che la storia narrata in questo macrotesto ebbe una durata di trentuno anno, ossia dal 1327, data dell’innamoramento per Laura, al 1358: Tennemi Amor anni ventuno ardendo, lieto nel foco, et nel duol pien di speme; poi che madonna e l’ mio cor seco insieme saliro al ciel, dieci altri anni piangendo. Leggendo il testo siamo portati subito a fare alcune considerazioni. Se il sonetto introduttivo è stato scritto nel 1350, quindi poco dopo la morte di Lura, avvenuta nel 1348, perché Petrarca parla dell’anno 1358? Questo perché il 1358 è la data della prima redazione del canzoniere che noi chiamiamo Coreggio perché dedicata ad Azzo da Correggio, signore di Parma. Nei disegni di Petrarca, quindi, fin dall’inizio c’era l’idea che l’opera avesse dovuto concludersi poco dopo la morte di Laura, appena composto il primo sonetto. Solamente avviene che ad un certo punto a Petrarca viene in mente di scrivere i sonetti in morte di laura. Tutto questo significa che il vaneggiamento non è affatto concluso. La conferma di questo ci viene leggendo l’ultimo sonetto prorpio della redazione Correggio (volevo ricordare che della redazione Correggio non ci è arrivato nemmeno un manoscritto e che la redazione e una configurazione ipotetica basata sugli appunti trovati sul Codice degli abbozzi, dallo studioso americano Wilkins). Ma leggiamo l’ultimo sonetto Gli occhi di ch’io parlai sì caldamente : 2 Corso di Laurea: Lingue e letteratura Italiana Insegnamento: Letteratura italiana Prof. Matteo Maria Quintiliani Titolo: I Rerum Vulgarium Fragmenta di Francesco Petrarca Gli occhi di ch’io parlai sí caldamente, et le braccia et le mani et i piedi e ’l viso, che m’avean sí damestessodiviso, et fatto singular da l’altra gente; le crespe chiome d’òr puro lucente e ’l lampeggiar de l’angelico riso, che solean fare in terra un paradiso, poca polvere son, che nulla sente. Et io pur vivo, onde mi doglio et sdegno, rimaso senza ’l lume ch’amai tanto, in gran fortuna e ’n disarmato legno. Or sia qui fine al mio amoroso canto: secca è la vena de l’usato ingegno, et la cetera mia rivolta in pianto. Questo è indiscutibilmente un testo conclusivo. Nelle due quartine, infatti, Petrarca rievoca le bellezze fisiche di Laura per dire che tutto questo è diventato polvere. Questo perché sono ormai passati anni dalla morte di laura e lui intanto vive nella disperazione e per la sofferenza non riesce più a scrivere di lei e deve tacere. La prima cosa evidente di questo testo è che non mantiene affatto le promesse del primo. Il primo testo, ricordiamo, preannunciava un pentimento e una richiesta di perdono. Deve, quindi, esserci un ultimo testo nel quale si mostri un poeta che dia addio alla vicenda amorosa su base morali. È quello, appunto, che succederà nel 1374 quando Petrarca scriverà la famosa canzone alla vergine, che chiude le sue rime volgari. Ma sta di fatto che nel 1358 siamo lontani da quello stato spirituale che il primo sonetto aveva promesso. Petrarca sapeva benissimo che questo testo non poteva essere conclusivo e forse è anche per questo che della redazione Correggio non ci è arrivato nemmeno un manoscritto. Il problema è che ci sono arrivati tanti manoscritti della redazione successiva, chiamata Chigi, di cui parleremo più avanti in modo dettagliato, che si conclude con il testo Mentre che ‘l cor dagli amorosi vermi (304): Mentre che ’l cor dagli amorosi vermi fu consumato, e ’n fiamma amorosa arse, di vaga fera le vestigia sparse cercai per poggi solitarii et hermi; et ebbi ardir cantando di dolermi d’Amor, di lei che sí dura m’apparse: ma l’ingegno et le rime erano scarse in quella etate ai pensier’ novi e ’nfermi. 3 Corso di Laurea: Lingue e letteratura Italiana Insegnamento: Letteratura italiana Prof. Matteo Maria Quintiliani Titolo: I Rerum Vulgarium Fragmenta di Francesco Petrarca Quel foco è morto, e ’l copre un picciol marmo: che se col tempo fossi ito avanzando (come già in altri) infino a la vecchiezza, di rime armato, ond’oggi mi disarmo, con stil canuto avrei fatto parlando romper le pietre, et pianger di dolcezza. Qui Petrarca conclude il canzoniere con il rimpianto per una poesia che non ha saputo esprimere e se solo l’amore per Laura fosse durato fino alla vecchiaia sicuramente avrebbe scritto rime degne di nota. Qui il poeta si rappresenta come una sorta di cacciatore che segue in campi solitari una preda che lascia delle tracce ma non si fa trovare: questa è naturalmente un’immagine metaforica per Laura ma anche per tutte, riprendendo sempre le parole del primo sonetto, le vane speranze. Petrarca, quindi, ed è quello che più ci interessa per il discorso che stiamo portando avanti, riconosce come errore non quella di aver sciupato l’esistenza dietro una passione amorosa di dubbia moralità, ma solo per il fatto di aver scritto molti testi nel quale si lamentava di amore. In conclusone, nel finale della prima redazione diffusa dai manoscritti, ossia quella Chigi, non troviamo ancora nessun pentimento morale; certo c’è un bilancio poetico, un addio alla poesia, ma dovuto al fatto che la morte di Laura rende impossibile continuare la scrittura. È chiaro che anche questa versione non poteva essere quella definitiva. A Petrarca, quindi, fu chiaro fin da subito che il primo sonetto e il progetto che quel testo preannunciava doveva essere portato a termine.