Buzzati, D. Il deserto dei tartari, pp. 3-18 1. Esaminare i tempi verbali (p. 4) e spiegarne il significato 2. Esaminare le strutture con le preposizioni A, DA, DI (pp. 3-7) 3. Tradurre le righe sottolineate: dalla p. 3 “Si fece ...” alla p. 4. “ ... senza ritorno.” Esaminare il DI, discorso libero (= riproduzione delle parole e i pensieri del personaggio nella forma indiretta mescolando DD a DI) 4. Individuare nel testo strutture preposizionali che abbiano il significato aggettivale e quelle che abbiano il significato avverbiale (pp. 3-5) 5. Esaminare l’uso del congiuntivo (pp. 3-6, p. 12) 6. Esaminare la posizione degli aggettivi qualificativi (pp. 3-6) 3 Nominato ufficiale, Giovanni Drogo partì una mattina di settembre dalla città per raggiungere la Fortezza Bastiani, sua prima destinazione. Si fece svegliare ch'era ancora notte e vestì per la prima volta la divisa di tenente. Come ebbe finito, al lume di una lampada a petrolio si guardò nello specchio, ma senza trovare la letizia che aveva sperato. Nella casa c'era un grande silenzio, si udivano solo piccoli rumori da una stanza vicina; sua mamma stava alzandosi per salutarlo. Era quello il giorno atteso da anni, il principio della sua vera vita. Pensava alle giornate squallide all'Accademia militare, si ricordò delle amare sere di studio quando sentiva fuori nelle vie passare la gente libera e presumibilmente felice; delle sveglie invernali nei cameroni gelati, dove ristagnava l'incubo delle punizioni. Ricordò la pena di contare i giorni ad uno ad uno, che sembrava non finissero mai. Adesso era finalmente ufficiale, non aveva più da consumarsi sui libri né da tremare alla voce del sergente, eppure tutto questo era passato. Tutti quei giorni, che gli erano sembrati odiosi, si erano oramai consumati per sempre, formando mesi ed anni che non si sarebbero ripetuti mai. Sì, adesso egli era ufficiale, avrebbe avuto soldi, le belle donne lo avrebbero forse guardato, ma in fondo - si accorse 4 Giovanni Drogo - il tempo migliore, la prima giovinezza, era probabilmente finito. Così Drogo fissava lo specchio, vedeva uno stentato sorriso sul proprio volto, che invano aveva cercato di amare. Che cosa senza senso: perché non riusciva a sorridere con la doverosa spensieratezza mentre salutava la madre? Perché non badava neppure alle sue ultime raccomandazioni e arrivava soltanto a percepire il suono di quella voce, così familiare ed umano? Perché girava per la camera con inconcludente nervosismo, senza riuscire a trovare l'orologio, il frustino, il berretto, che pure si trovavano al loro giusto posto? Non partiva certo per la guerra! Decine di tenenti come lui, i suoi vecchi compagni, lasciavano a quella stessa ora la casa paterna fra allegre risate, come se andassero a una festa. Perché non gli uscivano dalla bocca, per la madre, che frasi generiche vuote di senso invece che affettuose e tranquillanti parole? L'amarezza di lasciare per la prima volta la vecchia casa, dove era nato alle speranze, i timori che porta con sé ogni mutamento, la commozione di salutare la mamma, gli riempivano sì l'animo, ma su tutto ciò gravava un insistente pensiero, che non gli riusciva di identificare, come un vago presentimento di cose fatali, quasi egli stesse per cominciare un viaggio senza ritorno. L'amico Francesco Vescovi lo accompagnò a cavallo per il primo tratto di strada. Lo scalpitio delle bestie risuonava nelle strade deserte. Albeggiava, la città era ancora immersa nel sonno, qua e là agli ultimi piani qualche persiana si apriva, comparivano facce stanche, apatici occhi fissavano per un momento la nascita meravigliosa del sole. I due amici non parlavano. Drogo pensava a come potesse essere la Fortezza Bastiani, ma non riusciva a immaginarla. Non sapeva neppure esattamente dove si trovasse, né 5 quanta strada ci fosse da fare. Alcuni gli avevano detto una giornata di cavallo, altri meno, nessuno di coloro a cui aveva chiesto c'era in verità mai stato. Alle porte della città, Vescovi cominciò vivacemente a parlare delle solite cose, come se Drogo andasse a una passeggiata. Poi, a un certo punto: «Vedi quel monte erboso? Sì, proprio quello. Vedi in cima una costruzione? » diceva. « È già un pezzo della Fortezza, una ridotta avanzata. Ci sono passato due anni fa, mi ricordo, con mio zio, per andare a caccia. » Erano oramai usciti dalla città. Cominciavano i campi di granturco, i prati, i rossi boschi autunnali. Per la strada bianca, battuta dal sole, avanzavano i due fianco a fianco. Giovanni e Francesco erano amici, vissuti insieme per lunghi anni, con le stesse passioni, le stesse amicizie; si erano visti sempre ogni giorno, poi Vescovi si era fatto grasso, Drogo invece era diventato ufficiale e adesso sentiva come l'altro fosse oramai lontano. Tutta quella vita facile ed elegante oramai non gli apparteneva più, cose gravi e sconosciute lo attendevano. Il suo cavallo e quello di Francesco -gli pareva - avevano già un passo diverso, uno scalpitare, il suo, meno leggero e vivace, come un fondo di ansia e fatica, come se anche la bestia sentisse che la vita stava per cambiare. Erano giunti in cima a una salita. Drogo si voltò indietro a guardare la città contro luce; fumi mattutini si alzavano dai tetti. Vide di lontano la propria casa. Identificò la finestra della sua stanza. Probabilmente i vetri erano aperti, le donne stavano mettendo in ordine. Avrebbero disfatto il letto, chiuso in un armadio gli oggetti, poi sprangato le persiane. Per mesi e mesi nessuno ci sarebbe entrato, tranne la paziente polvere e nei giorni di sole tenui strisce di luce. Eccolo rinserrato nel buio, il piccolo mondo della sua 6 fanciullezza. La madre l'avrebbe conservato così affinché lui tornando ci si ritrovasse ancora, perché lui potesse là dentro rimanere ragazzo, anche dopo la lunga assenza; oh, certo lei si illudeva di poter conservare intatta una felicità per sempre scomparsa, di trattenere la fuga del tempo, che riaprendo le porte e le finestre al ritorno del figlio le cose sarebbero tornate come prima. L'amico Vescovi qui lo salutò affettuosamente e Drogo continuò solo per la strada, avvicinandosi alle montagne. Il sole era a picco quando giunse all'imbocco della valle che conduceva alla Fortezza. A destra, in cima a un monte, si vedeva la ridotta che il Vescovi gli aveva indicato. Non sembrava che ci dovesse essere ancora molta strada. Ansioso di arrivare, Drogo, senza fermarsi a mangiare, spinse il cavallo già stanco su per la strada che si faceva ripida e incassata fra precipitosi costoni. Gli incontri erano sempre più rari. A un carrettiere Giovanni domandò quanto tempo ci fosse per arrivare alla Fortezza. « La fortezza? » rispose l'uomo « quale fortezza? » « La Fortezza Bastiani » disse Drogo. « Da queste parti non ci sono fortezze » fece il carrettiere. « Non l'ho mai sentito dire. » Evidentemente era male informato. Drogo riprese il cammino e avvertiva una sottile inquietudine man mano che il pomeriggio avanzava. Egli scrutava i bordi altissimi della valle per scoprire la Fortezza. Immaginava una specie di antico castello con muraglie vertiginose. Passando le ore, sempre più si convinceva che Francesco gli aveva dato una informazione sbagliata; la ridotta da lui indicata doveva essere già molto indietro. E si avvicinava la sera. Guardateli, Giovanni Drogo e il suo cavallo, come sono piccoli sul fianco delle montagne che si fanno sempre più grandi e selvagge. Egli continua a salire per arrivare alla 7 Fortezza in giornata, ma più svelte di lui, dal fondo, dove romba il torrente, più svelte di lui salgono le ombre. A un certo punto esse si trovano proprio all'altezza di Drogo sul versante opposto della gola, sembrano per un momento rallentare la corsa, come per non scoraggiarlo, poi scivolano su per i greppi e i roccioni, il cavaliere è rimasto di sotto. Tutto il vallone era già zeppo di tenebre violette, solo le nude creste erbose, a incredibile altezza, erano illuminate dal sole quando Drogo si trovò improvvisamente davanti, nera e gigantesca contro il purissimo cielo della sera, una costruzione militaresca che sembrava antica e deserta. Giovanni si sentì battere il cuore poiché quella doveva essere la Fortezza, ma tutto, dalle mura al paesaggio, traspirava un'aria inospitale e sinistra. Girò attorno senza trovare l'ingresso. Benché fosse già scuro nessuna finestra era accesa, né si scorgevano lumi di scolte sul ciglio dei muraglioni. Solo un pipistrello c'era, che oscillava contro una nube bianca. Finalmente Drogo provò a chiamare: « Ohilà! » gridò « C'è nessuno? ». Dall'ombra accumulata ai piedi delle mura sorse allora un uomo, un tipo di vagabondo e di povero, con una barba grigia e un piccolo sacco in mano. Nella penombra però non si distingueva bene, solo il bianco dei suoi occhi dava riflessi. Drogo lo guardò con riconoscenza. « Di chi cerchi, signore? » domandò. « La Fortezza cerco. È questa? » « Non c'è più fortezza qui » fece lo sconosciuto con voce bonaria. « È tutto chiuso, saranno dieci anni che non c'è nessuno. » « E dov'è la Fortezza allora? » chiese Drogo, improvvisamente irritato contro quell'uomo. « Che Fortezza? Forse quella? » e così dicendo lo sconosciuto tendeva un braccio, ad indicare qualcosa. 8 In uno spiraglio delle vicine rupi, già ricoperte di buio, dietro una caotica scalinata di creste, a una lontananza incalcolabile, immerso ancora nel rosso sole del tramonto, come uscito da un incantesimo, Giovanni Drogo vide allora un nudo colle e sul ciglio di esso una striscia regolare e geometrica, di uno speciale colore giallastro: il profilo della Fortezza. Oh, quanto lontana ancora. Chissà quante ore di strada, e il suo cavallo era-già sfinito. Drogo la fissava affascinato, si domandava che cosa ci potesse essere di desiderabile in quella solitaria bicocca, quasi inaccessibile, così separata dal mondo. Quali segreti nascondeva? Ma erano gli ultimi istanti. Già l'ultimo sole si staccava lentamente dal remoto colle e su per i gialli bastioni irrompevano le livide folate della notte sopraggiungente. II 9 Il buio lo raggiunse ancora in cammino. La valle si era stretta e la Fortezza era scomparsa dietro le montagne incombenti. Non c'erano lumi, neppure voci di uccelli notturni, solo di tanto in tanto arrivava suono di acque lontane. Provò a chiamare ma gli echi gli respinsero la voce con timbro nemico. Legò il cavallo a un moncone di albero sul ciglio della via, dove avrebbe potuto trovare dell'erba. Qui si sedette, la schiena sulla scarpata, aspettò che venisse il sonno e intanto pensava alla strada che rimaneva, alla gente che avrebbe trovato alla Fortezza, alla vita futura, senza riconoscere alcun motivo di gioia. Il cavallo batteva a intervalli le unghie sul terreno in modo antipatico e strano. All'alba, riprendendo la via, si accorse che sull'opposto versante del vallone, a uguale altezza, c'era un'altra strada, e poco dopo vi scorse qualche cosa che si muoveva. Il sole non era ancora sceso fin laggiù e le ombre ingombravano le rientranze, impedendo di distinguere bene. Pure, affrettando il passo, Drogo riuscì a portarsi alla medesima altezza e constatò che era un uomo: un ufficiale a cavallo. Un uomo come lui finalmente; una creatura amica con cui avrebbe potuto ridere e scherzare, parlare della prossima vita comune, di cacce, di donne, della città. Della città che 10 ora sembrava a Drogo relegata in un mondo lontanissimo. Stringendosi intanto la valle, le due strade si avvicinavano e Giovanni Drogo vide che l'altro era un capitano. Non si fidò sulle prime di gridare, sarebbe parso inutile e irrispettoso. Salutò invece, a più riprese, portando la destra al berretto, ma l'altro non rispondeva. Evidentemente non si era accorto di Drogo. « Signor capitano! » gridò finalmente Giovanni, vinto dall'impazienza. E salutò di nuovo. « Cosa c'è? » rispose una voce dall'altra parte. Il capitano, fermatosi, aveva salutato con correttezza ed ora chiedeva a Drogo ragione di quel grido. Non c'era nella richiesta alcuna severità; si capiva però che l'ufficiale era rimasto sorpreso. « Che cosa c'è? » echeggiò ancora la voce del capitano, questa volta leggermente irritata. Giovanni si fermò, fece portavoce con le mani e rispose con tutto il fiato: « Niente! Desideravo salutarla! ». Era una spiegazione stupida, quasi offensiva perché poteva lasciar pensare a uno scherzo. Drogo se ne pentì immediatamente. In che razza di ridicolo impiccio era andato mai a cacciarsi, tutto perché non era capace di bastare a se stesso. « Chi è? » gridò di rimando il capitano. Era la domanda temuta da Drogo. Quello strano colloquio, da una parte all'altra della valle, andava così assumendo il tono di un interrogatorio gerarchico. Spiacevole inizio, perché era probabile, se non certo, che il capitano fosse uno della Fortezza. Comunque, bisognava rispondere. « Tenente Drogo! » gridò Giovanni, per presentarsi. Il capitano non lo conosceva, non poteva con ogni pro- 11 babilità afferrare il nome a quella distanza, ma parve quietarsi poiché riprese il cammino facendo un segno di intesa, come a dire che fra poco si sarebbero incontrati. Infatti dopo mezz'ora, a una stretta della gola, comparve un ponte. Le due vie si congiungevano in una. Al ponte i due si incontrarono. Sempre a cavallo, il capitano si fece vicino a Drogo e gli tese la mano. Era un uomo sulla quarantina e forse più, dal volto asciutto e signorile. La sua uniforme era di linee rozze ma perfettamente in ordine. « Capitano Ortiz » si presentò. Stringendogli la mano, sembrò a Drogo di entrare finalmente nel mondo della Fortezza. Quello era il primo legame e ne sarebbero venuti poi innumerevoli altri di ogni genere, che l'avrebbero chiuso dentro. Il capitano riprese senz'altro il cammino; Drogo lo seguì al fianco, un po' indietro per rispetto gerarchico e aspettava qualche spiacevole richiamo all'imbarazzante colloquio di poco prima. Invece il capitano taceva, forse non aveva voglia di parlare, forse era timido e non sapeva come cominciare. Essendo la strada ripida e caldo il sole, i due cavalli procedevano adagio. Finalmente il capitano Ortiz disse: « Non avevo afferrato il suo nome a quella distanza, poco fa. Droso, mi pare? ». Giovanni rispose: « Drogo, col G, Drogo Giovanni. Lei anzi, signor capitano, mi deve scusare, di poco fa, se ho chiamato. Sa? » aggiunse confondendosi « attraverso la valle non avevo visto il grado ». « Effettivamente non si poteva vedere » ammise Ortiz rinunciando a smentire, e rise. Cavalcarono così un pochetto, entrambi un po' imbarazzati. Poi Ortiz disse: « E così, dove è diretto? ». « Alla Fortezza Bastiani. Ma non è questa la strada? » 12 « Questa sì, effettivamente. » Tacquero, faceva caldo, sempre montagne da tutte le parti, giganteschi monti erbosi e selvaggi. Ortiz disse: « Dunque lei viene alla Fortezza? Forse qualche messaggio? ». « Nossignore, vado a prendere servizio, ci sono stato assegnato. » « Assegnato in organico? » « Credo di sì, in organico, servizio di prima nomina. » « Allora in organico, certo... Bene bene allora... se crede le faccio le mie congratulazioni. » « Grazie, signor capitano. » Tacquero e andarono avanti ancora un po'. Giovanni aveva una gran sete, una borraccia di legno era appesa alla sella del capitano e si sentiva l'acqua dentro che faceva cioc cioc. Ortiz chiese: « Per due anni? ». « Scusi, signor capitano, per due anni? » « Per due anni, dico, farà il solito turno di due anni lei, non è vero? » « Due anni? non so, il periodo non mi è stato detto. » « Oh, si capisce, due anni, tutti voi tenenti di nuova nomina, due anni e poi ve n'andate. » « Di regola due anni per tutti? » « Due anni, si capisce, per l'anzianità valgono quattro, è ben questo che vi importa, seno nessuno lo domanderebbe. Eh, pur di far presto carriera, anche alla Fortezza ci si adatta, no? » Drogo non l'aveva mai saputo, ma non volle far la figura dello stupido, tentò una frase generica: « Certo che molti... ». Ortiz non insistette, pareva che l'argomento non lo interessasse. Ma ora che il ghiaccio era rotto, Giovanni provò a 13 domandare: « Ma per tutti, alla Fortezza, l'anzianità è doppia? ». « Per tutti chi? » « Dicevo, per gli altri ufficiali? » Ortiz ridacchiò: « Già, per tutti! Immaginarsi! Per i subalterni soltanto, si capisce, seno chi farebbe domanda di andarci? ». Drogo disse: « Io non ho fatto domanda ». « Non ha fatto domanda? » « Signornò, l'ho saputo soltanto due giorni fa che ero assegnato alla Fortezza. » « Be', è strano, effettivamente. » Tacquero ancora, ciascuno pareva pensare a cose diverse. Ma Ortiz disse: « A meno che... ». Giovanni si riscosse: « Comandi, signor capitano? ». « Dicevo: a meno che non ci fosse nessun'altra domanda, e allora l'hanno assegnata di ufficio. » « Può anche darsi, signor capitano. » « Già, deve essere così, effettivamente. » Drogo guardava sulla polvere della strada l'ombra netta dei due cavalli, le teste che facevano sì sì ad ogni passo; sentiva il loro quadruplice scalpitio, qualche ronzare di moscone e niente altro. La fine della strada non si vedeva. Ogni tanto, ad una curva della valle, si scorgeva di fronte, altissima, tagliata in coste precipitose, la via che si arrampicava a zig zag. Ci si arrivava, si guardava allora in su, eccola ancora di fronte, la strada, sempre più alta. Drogo domandò: « Scusi, signor capitano... ». « Dica, dica pure. » « C'è ancora molta strada? » « Non molta, forse due ore e mezzo, anche tre forse, di questo passo. Forse per mezzogiorno ci siamo, effettivamente. » 14 Tacquero per un pezzo, i cavalli erano tutti sudati, quello del capitano era stanco, trascinava le zampe. Ortiz disse: « Viene dall'Accademia reale, no? ». « Sissignore, dall'Accademia. » « Già, e dica: c'è ancora il colonnello Magnus? » « Colonnello Magnus? Non mi pare, non lo conosco. » La valle adesso si stringeva, chiudendo il passo ai raggi del sole. Cupe gole laterali si aprivano ogni tanto, ne scendevano venti gelidi, in cima si scorgevano ripidissimi monti a cono; due tre giorni, si sarebbe detto, non bastavano a raggiungere la vetta, tanto sembravano alti. Ortiz disse: « E mi dica, tenente. C'è ancora il maggiore Bosco? Fa ancora scuola di tiro? ». « Nossignore, non mi pare, c'è Zimmermann, il maggiore Zimmermann. » « Già, Zimmermann, effettivamente, l'ho sentito nominare. La questione è che sono passati molti anni, dai miei tempi ad oggi... saranno tutti cambiati oramai. » Entrambi ora pensavano a qualche cosa. La strada era uscita nuovamente al sole, montagne si succedevano a montagne, adesso più ripide e con alcune pareti di roccia. Drogo disse: « L'ho vista ieri sera da lontano ». « Che cosa, la Fortezza? » « Sì, la Fortezza » fece una pausa e poi, per mostrarsi gentile: « Dev'essere grandiosa, vero? Mi è sembrata immensa. » « Grandiosa la Fortezza? No no, è una delle più piccole, una costruzione vecchissima, è da lontano che fa un certo effetto. » Tacque un momento, aggiunse: « Vecchissima, completamente superata ». 15 « Ma è una delle principali, vero? » « No no, è una fortezza di seconda categoria » rispose Ortiz. Pareva che ci trovasse gusto a dirne male, ma in un tono speciale; così come uno si diverte a notare i difetti del figlio, sicuro che saranno sempre ridicola cosa di fronte ai suoi meriti sconfinati. « È un tratto di frontiera morta » aggiunse Ortiz. « Così non l'hanno mai cambiata, è sempre rimasta come un secolo fa. » « Come: frontiera morta? » « Una frontiera che non dà pensiero. Davanti c'è un grande deserto. » « Un deserto? » « Un deserto effettivamente, pietre e terra secca, lo chiamano il deserto dei Tartari. » Drogo domandò: « Perché dei Tartari? C'erano i Tartari? ». « Anticamente, credo. Ma più che altro una leggenda. Nessuno deve essere passato di là, neppure nelle guerre passate. » « Così la Fortezza non è mai servita a niente? » « A niente » disse il capitano. Alzandosi sempre più la strada, gli alberi erano finiti, solo rari cespugli rimanevano qua e là; per il resto prati riarsi, rocce, frane di terra rossa. « Scusi, signor capitano, ci sono paesi vicini? » « Eh, vicini no. C'è San Rocco, ma saranno trenta chilometri. » « Poco da divertirsi allora, mi immagino. » « Poco da divertirsi, poco, effettivamente. » L'aria era diventata più fresca, i fianchi delle montagne si arrotondavano, lasciando presagire le creste finali. « E non ci si annoia, signor capitano? » chiese Giovanni, 16 con accento confidenziale, ridendo, come per dire che lui non ci avrebbe badato lo stesso. « Uno si abitua » rispose Ortiz e aggiunse, con sottinteso rimprovero: « Io ci sono da quasi diciott'anni. Mi sbaglio anzi, diciott'anni compiuti ». « Diciott'anni? » fece Giovanni impressionato. « Diciotto » rispose il capitano. Un volo di corvi passò rasente ai due ufficiali, si inabissò nell'imbuto della valle. « Corvi » disse il capitano. Giovanni non rispose, stava pensando alla vita che lo attendeva, si sentiva estraneo a quel mondo, a quella solitudine, a quelle montagne. Domandò: « Ma degli ufficiali che vanno a fare lassù il servizio di prima nomina, ce n'è qualcuno che poi si ferma? » « Pochi adesso » rispose Ortiz, quasi pentito di aver parlato male della Fortezza, accorgendosi che l'altro adesso esagerava « quasi nessuno anzi. Adesso tutti vogliono la guarnigione brillante. Una volta era un onore la Fortezza Bastiani, adesso par quasi una punizione. » Tacque Giovanni, ma l'altro insisteva: « Dopo tutto è una guarnigione di confine. In genere ci sono elementi di primo ordine. Un posto di confine è sempre un posto di confine, effettivamente. » Drogo taceva, con addosso un'improvvisa oppressione. L'orizzonte si era allargato, sullo sfondo comparivano curiose sagome di montagne rocciose, rupi aguzze che si accavallavano nel cielo. « Adesso, anche nell'esercito, le concezioni sono cambiate » continuava Ortiz. « Una volta la Fortezza Bastiani era un grande onore. Adesso dicono che è una frontiera morta, non pensano che la frontiera è sempre frontiera e non si sa mai... 17 Un ruscello attraversava la strada. Si fermarono per far bere i cavalli, e scesi di sella camminarono un po' su e giù per sgranchirsi. Ortiz disse: « Sa quello che c'è effettivamente di primo ordine? » e rise di gusto. « Che cosa, signor capitano? » « La cucina, vedrà alla Fortezza come si mangia. E questo spiega la frequenza delle ispezioni. Ogni quindici giorni un generale. » Drogo rise per complimento. Non riusciva a capire se Ortiz fosse un cretino, nascondesse qualche cosa o tenesse quei discorsi così, senza il minimo impegno. « Benissimo » fece Giovanni « ho una fame! » « Oh, non ci manca molto oramai. Vede quella gobba con una macchia di ghiaia? Ecco, proprio dietro. » Ripreso il cammino, proprio dietro la gobba con una macchia di ghiaia, i due ufficiali sbucarono sul ciglione di un pianoro in leggera salita e la Fortezza comparve loro dinanzi, a poche centinaia di metri. Pareva davvero piccola in confronto alla visione della sera prima. Dal forte centrale, che in fondo assomigliava a una caserma con poche finestre, partivano due bassi muraglioni merlati che lo collegavano alle ridotte laterali, due per parte. I muri sbarravano così debolmente l'intero valico, largo circa cinquecento metri, chiuso ai fianchi da alte precipitose rupi. A destra, proprio sotto la parete della montagna, il pianoro si infossava in una specie di sella; là passava l'antica strada del valico, e terminava contro le mura. Il forte era silenzioso, immerso nel pieno sole meridiano, privo di ombre. I suoi muri (il fronte non si scorgeva essendo rivolto a settentrione) si stendevano nudi e giallastri. 18 Un camino emetteva pallido fumo. Lungo tutto il ciglione dell'edificio centrale, delle mura e delle ridotte, si vedevano decine di sentinelle, col fucile in spalla, camminare su e giù metodiche, ciascuna per un piccolo tratto. Simili a moto pendolare, esse scandivano il cammino del tempo, senza rompere l'incanto di quella solitudine che risultava immensa. Le montagne a destra e a sinistra si prolungavano a vista d'occhio in dirupate catene, apparentemente inaccessibili. Anch'esse, almeno a quell'ora, avevano un colore giallo e riarso. Istintivamente Giovanni Drogo fermò il cavallo. Girando lentamente gli occhi, fissava le tetre mura, senza riuscire a decifrarne il senso. Pensò a una prigione, pensò a una reggia abbandonata. Un lieve soffio di vento fece ondeggiare una bandiera sopra il forte, che prima pendeva floscia confondendosi con l'antenna. Si udì una vaga eco di tromba. Le sentinelle camminavano lente. Sul piazzale dinanzi alla porta d'ingresso tre quattro uomini (non si capiva per la distanza se fossero soldati) stavano caricando dei sacchi sopra un carro. Ma tutto ristagnava in un torpore misterioso. Anche il capitano Ortiz si era fermato a guardare l'edificio. « Eccola » disse, benché fosse perfettamente inutile. Drogo pensò: "Adesso mi domanda che cosa me ne pare" e ne ebbe fastidio. Invece il capitano tacque. Non era imponente, la Fortezza Bastiani, con le sue basse mura, né in alcun modo bella, né pittoresca di torri e bastioni, assolutamente nulla c'era che consolasse quella nudità, che ricordasse le dolci cose della vita. Eppure, come la sera prima dal fondo della gola, Drogo la guardava ipnotizzato e un inesplicabile orgasmo gli entrava nel cuore.