II rigoglio i reale del la donna Guido Cavalcanti Avete n vo lifior e la verdura E un sonetto in cui si svolge la lode della donna, in toni accesi ed entusia-stici, molto vicini (anche con echi diretti) a quelli del sonetto di Guiniz-zelli Io voglio del ver la mia donna laudare (cfr. p. 270). L'inizio evoca l'im-magine della donna in un rigoglio di fiori e di verde, sotto il segno «stil-novistico» della luce e dello splendore; la visione della donna appare con-dizione necessaria per acquisire valore, rende l'uomo degno e capace di accogliere in se la forza di Amore. Le terzine chiamano in causa le donne che si accompagnano a colei che e oggetto di lode: la bellezza di quest'ul-tima sembra come riflettersi sulle prime e renderle care al poeta, secondo un motivo che «risale alia dottrina del De amore di Andrea Cappellano» (De Robertis) e che sara ripreso da Dante (cfr. il sonetto Vede perfetta-mente onne salute, v. 11, nella Vita nova, t2.1). Le donne vengono quindi invitate a fare onore alia loro compagna cost elogiata e a riconoscere il suo valore, la sua supremazia, che viene ribadita in modo semplice e reciso nel-l'ultimo verso del sonetto («perche di tutte siete la migliore»). [EDIZIONE: G. Cavalcanti, Rime, a cura di D. De Robertis, Einaudi, Torino 1986] METRO: sonetto a rime alternate ABAB ABAB CDC DCD (forma di tipo arcaico, rara in Cavalcanti). Avete 'n vo' Ii fior e la verdura e ciö che luce ed e bello a vedere; risplende piü che sol vostra figura: chi vo' non vede, ma' non po valere. v. i. la verdura: il verde, ciö che e verde (dr. Guinizzelli, Io voglio del ver, v. 5, «Verde river'a lei rasembro», p. 271). V. 3. figura: voltO. v. 4. chi non vede voi, non puö in nessun modo avere valore (ma', "mai", rafforza la negazione). 5 8 11 14 In qticsto inondo non ha creatura si piena di bieltä ne di piacere; e chi d'amor si teme, lu' assicura vostro bei vis' a tanto 'n se volere. Le donne che vi fanno compagnia assa' mi piaccion per lo vostro amore; ed i' le prego per lor cortesia che qual piü puö piü vi faccia onore ed aggia cara vostra segnoria, perche di tutte siete la migliore. w. 5-6. cfr. Guinizzelli, Vedut'ho la lu-cente Stella diana, w. 7-8 (p. 271); non ha, non c'e (ha impersonale, come nel fran-cese ily a); bieltä, francesismo; il ne nella proposizione negativa, seguendo un uso provenzale ha valore di «o»; piacere vale "bellezza, capacitä di piacere". w. 7-8. e se qualcuno non ha coraggio di amare, il vostro bei viso lo (lu per lui) in-coraggia ad accettare (volere) in se una tal cosa (tanto), cioe l'amore. w. 12-13. che vi facciano onore quanto piü e loro possibile, al massimo grado (che quella che piü puö, piü vi faccia onore) ed abbiano in pregio la vostra so-vranitä. Chi e questa che ven, ch'ogn'om la mira II motivo della lode qui si esprime in un empito di meraviglia per lo stesso apparire della donna, per il carattere inaudito degli effetti che essa suscita, per il turbamento che la sua presenza porta nell'ambiente circostante. Come ha indicato G. Contini, l'interrogazione che si svolge nella prima quar-tina e modellata sul bibUco Cantico dei cantiä e sottolinea subito il fatto che la donna racchiude in se il segreto di qualcosa di inconoscibile, la rivela-zione di un bene segreto ed ineffabile, che annulla il potere della parola e della ragione e lascia spazio solo ai sospiri. In tutto il sonetto si succede una serie di negazioni, che culminano nell'anafora dei non (con un Non si apro-no le due terzine). Nel trionfante entusiasmo per l'apparire della donna e per la meraviglia assoluta che essa rappresenta si inserisce cosi quell'ottica «negativa» sempre essenziale per Cavalcanti: il massimo di bene rappre-sentato dalla donna comporta 1'impossibÜitä di dire, la sconfitta della ca-noscenza (che non a caso costituisce l'ultima parola del sonetto); ma tutto ciö viene detto con una «prevalenza del punto di vista indefinito o "cora-le" su quello personale», rilevato da formule come ogn'om, null'omo, äa-scun, non siporia, la mente nostra, 'n not (De Robertis). METRO: sonetto con rime ABBA ABBA CDE EDC (quartine a rime incrociate e terzine a rime rovesciate), in cui le rime -are e -ute, anche con quattro parole rima (are, pare, venule, salute), costituiscono una diretta ripresa dal Guinizzelli di Io voglio del ver la mia donna laudare (cfr. p. 271), individuata da Contini, che vi vede il segno di «"concorrenza" nella loda». 14 Parlano stnimenti i scrittura Chi e questa che ven, ch'ogn'om la mira, che fa tremar di chiaritate l'äre e mena seco Amor, si che parlare nuU'omo pote, ma ciascun sospira? O Deo, che sembra quando Ii occhi gira! dical' Amor, ch'i' nol savria contare: cotanto d'umiltä donna mi pare, ch'ogn'altra ver' di lei i' la chiam' ira. Non si poria contar la sua piagenza, ch'a le' s'inchin' ogni gentil vertute, e la beltate per sua dea la mostra. Non fu si alta giä la mente nostra e non si pose 'n noi tanta salute, che propiamente n'aviän canoscenza. v. i. tra i numerosi passi del Cantico dei cantici che iniziano con un'interrogazio-ne sull'identitä della donna («Quae est ista quae...», "Chi ě questa che..."), il piú vicino ě 6,9. «Quae est ista quae progre-ditur», cioě "che viene, che avanza"); věn: viene; ogn'om: ognuno. v. 2. «che fa tremare l'aria di splendore, di luce»: qui il motivo stilnovistico dello splendore della donna acquista nuova ri-sonanza, identificandosi con questo tremar dell'aria, con questo vero e proprio sconvolgimento dell'ambiente. v. 3. mena seco: conduce con sé, cioě fa innamorare. v. 6. lo dica Amore, che io non lo saprei dire (contare). w. 7-8. «mi appare donna tanto benigna (con genitivo di qualitä per ľaggettivo, tipo sintattico), che al suo confronto chiamo ogni altra disdegno»: ira ě il con- trario di umiltá, benignita; anche in ďu-milta donna si ha il «genitivo di qualitá per 1'aggettivo, tipo sintattico di origine biblica (per calco dell'ebraico)» (Conti-ni). v. o. piagenza: bellezza (sul modello del provenzale plazer). w. 10-11. a lei si inchina ogni nobile virtú e la bellezza la indica come sua signora, regina. w. 12-14. La mente nostra (umana) non fu mai (giá) cosi alta, né in noi fu posta (per nátura) tanta perfezione (la salute, la grazía salvifica attribuita all'anima umana, ě condizione della sua perfezione), da far sí che ne abbiamo (avion, forma rara della prima persona plurále del presente con la v e con desinenza fiorentina) co-noscenza in modo adeguato (propiamente, awerbio usato da Guinizzelli in Al cor gentil, v. 9: cfr. p. 265). Noi sihn le triste penne isbigotite Con un movimento di sorprendente originalita (di cui si sono trovati pre-cedenti in epigrammi dzWAntológia palatina, certamente non noti a Ca-valcanti), nel sonetto che segue parlano in prima persona gli strumentí stessi della scrittura: le penne e ciô che serve per tagliarle e appuntirle. Di tale discorso, affidato agli oggetti materiali che creano il supporto fisico della poesia, rcslu indeterminate il destinatario: non é chiaro inl'alli sc le penne si rivolgano ai lettori o alia donna amata; ma esse manifestano in modo estremo la lacerazione che ľamore stesso ha creato nel poeta. Que-sti sembra aver perduto il controilo di sé, subendo quasi una divisione della propria identita: gli strumenti dello scrivere si sono allontanati da lui, separat! dalla sua mano, che a sua volta é separata dal suo core, minaccia-to da cose dubbiose; egli é destrutto in modo tale che della sua persona non restano che sospiri. Rivolgendosi al destinatario del sonetto (sia esso la donna o il lettore), gli oggetti chiedono di essere custoditi come un pegno di pietä. II motivo centrale della poesia di Cavalcanti - ľamore che lacera e distrugge e non lascia spazio alia luce della conoscenza - qui si manife-sta mettendo in primo piano ľatto stesso dello scrivere: un'invenzione dawero moderna che, in anni a noi vicini, ha condotto Italo Calvino ad af-fermare che in questo sonetto «si park di dolori quasi in ogni verso, ep-pure ľeffetto, la musica, é un allegro brio d'una straordinaria leggerezza» (cfr. 11.7). METRO: sonetto con ABBA ABBA CDE DCE, con le rime A, B e D che terminano tutte in -te; rima siciliana in C (costui / noi). Noi sián le triste penne isbigotite, le cesoiuzze e 1 colteilin dolente, ch'avemo scritte dolorosamente quelle parole che vo' avete udite. Or vi diciän perché noi siän pařáte e sián venute a voi qui di presente: la man che ci movea dice che sente cose dubbiose nel core apparite; le quali hanno destrutto si costui ed hannol posto sí presso a la morte, ch'altro non n'e rimaso che sospiri. v. 1. sián: desinenza fiorentina della prima persona plurále del presente indicati-vo (come ancora siän al v. 5 e 6, e diciän, v. 5, pregbiän, possiän, v. 13); isbigotite: sbigottite, parola essenziale in Cavalcanti, che in Perch'i' no spero di tornar giam-mai, v. 37, qualifica la voce stessa del poeta; notare la serie di aggettivi che indica-no stati ďanimo umani (triste, isbigotite, dolente) attribuiti agli oggetti. v. 2. cesoiuzze: forbicine (per tagliare le perme, mentre il coltellin serve per tem-perarle). v. 3. avemo scritte: verbo al plurále, ac- cordato con tutti e tre i termini prece- denti, mentre logicamente dovrebbe ri- ferirsi solo alle penne. v. 4. si riferisce o a qualche poesia parti- colare o in genere alle rime «dolorose» delFautore. v. 6. di presente: adesso. v. 7. come le penne, anche la mano par-la, come scindendosi dal corpo e dalla voce del poeta. v. 8. dubbiose: paurose; apparite: appar-se; il verbo e usato da Cavalcanti per in-dicare la «materializzazione fantastica di sentimenti o passioni» (De Robertas). 5°6 DOLCE STIL NOVO GUIDO CAVALCANTI SO? XIII [xü] XIV [x] Vpi che per li occhi mi passaste '1 core e destaste la mente che dormia, guardate a ľangosciosa vita mia, che sospirando la distrugge Amore. E' věn tagliando di si gran valore, che' deboletti spiriti van via: -riman figura sol en segnoria e voce alquanta, ehe paria dolore. Questa vertu d'ampr che m'ha disfatto da' vostr' occhi gentiľ presta si mosse: un dardo mi gittö dentro dal fianco. Se m'ha del tutto obľiato Merzede, giä pero Fede — il cor non abandona, anzi ragiona — di servire a grato al dispietato—core. E, qual si sente simil me, ciö crede; ma chi tal vede — (certo non persona), ch'Amor mi dona — un spirito 'n su' stato ehe, figurato, — more? Ché, quando lo piacer mi stringe tanto ehe lo sospir si mova, par che nel cor mi piova un dolce amor si bono ch'eo dico: «Donna, tutto vostro sono». Si giunse ritto '1 colpo al primo tratto, ehe ľanima tremando si riscosse veggendo morto '1 cor nel lato manco. SoNETTO per cui soecorrono forse varianti redazionali, attestate dai mede-simi codici di vm, piü, per i primi sei versi, il Magliabechiano vii. 1060. Tale in particolare svegliaste 2 (destaste b perö confoime a xxvin 2). Singulare la rubrica del Vaticano 3214 (pur parente del Chigiano): «Guido Cavalchanti e Guido Orlandi, dicea l'axempro, ma elli lo fece Dante Alli-ghieri»; da cui si credette di poter desumere l'appartenenza del sonetto a una corrispondenza con l'Orlandi. 1. c< Voi che, servendovi degli sguar-di, mi trafiggeste il cuore» (cfr. Guinizzelli, vill 10). La lezione il j (e)l, di tutta la tradizione tranne il Chigiano e affini, e conforme a ix 39; al del Chigiano siawicinaaxxiv 10 e, meno esattamente, axi 14. 4. che (.., .) la~ pleonasmo arcaico; sospirandö (riferito naturalmente a vita): «a furia di sospiri». 5. tagliando: «spaccando (col ferro della saetta)», cfr. infatti xlii 11, e ad abundantiam Cino, xliv 8; di si grari valore: «con tanta forza». 7. figura: «l'aspetto del viso» (Ercole); en segnoria: «in potere d'Amore») (id.). 8. alquanta: «poca» (cfr. ix 5); parkt dolore: varia-zione rispetto a vi 13 (e xix 1) con uso transitivo del verbo, quäle ritorna anche in Dante, canzone Voi che 'ntendendo, v. 55, «tanto la parli faticosa e forte», e canzone Amor, da che convien, v. 11, «parlar quanto tormento», nonche nell'«Amico di Dante», Canzoni, 1 23 ecc. e in Cino, xliii 33, ma risale a Chiaro e a Monte. 11. dentro dal: cfr. xi 14 (ma l'altra redazione, se e tale, legge lanciato m'ha d'un dardo entr'a lo fianco). 12. tratto: d'arco. 13. Vanima tremando: cfr. ix 20. 14. lato manco: «fianco sinistro». I Stanza affine axi, con due piedi A(a)B(b)C(c)d-j e sitma EffgG (E irrelato). z. perö (...) non: «non per questo». 3. anzi (francesismo): awersativa dopo negazione; ragiona (soggetto il cor): « si propone »;.: a grato: « senza compenso». 5. simil me: «al pari di me». 6. tal: antieipo del ch(e) . ... successivo; non persona: « nessuno ». 7. dona (gallicismo o sicilianismo): «da»; un spirito 'n su' stato: «un pensiero a lui ispirato, amoroso». 8.^-gurato: « nel momento in cui assume un aspetto concreto ». La spiegazione dev'essere in quanto segue; e par ďintendere (poiché questo ě fra i com-r ponimenti piú ellittici del Cavalcanti) ehe la disposizione amorosa del poeta si risolve in un'istantanea perdita delia propria autonómia. 11. piova: «cada», una delle metafore-chiave del Cavalcanti, passata poi a Dante e a Lapo (cfr. xvii 12, xxx 3, xxxi 13, e anche xxvin 12). 12. bono: «ec-cellente». 544 DOLCE STIL NOVO XXXVII [xxxviii] Vedeste, al mio parere, onne valore e tutto gioco e quanto bene om sente, se foste in prova del segnor yalente che segnoreggia il mondo de l'onore, poi vive in parte dove noia more, e tien ragion nel cassar de la mente; si va soave per sonno a la gente, che '1 cor ne porta senza far dolore. Di voi lo core ne portö, veggendo che vostra donna alia morte cadea: nodřiala dello cor, di ciô temendo. Quando v'apparve che se 'n gia dolendo, fu '1 dolce sonno ch'allor si compiea, ché '1 su' contraro lo venia vincendo. Risposta per le rime al sonetto di Dante A ciascurialma (poi i della Vita Nuova), col quäle vien chiesta a ogni fedele d'Amore dichiarazione d'un sogno: Amore tiene in mano il cuore del poeta e ne pasce, dopo averla svegliata, la donna che teneva addormentata in braccio; quindi se ne va piangendo (cfr. nota a xn 14). 1. al mio parere: zeppa che, se pur figuri un'altra volta nel Cavalcanti (xlvi 2), qui (come nel Güinizzelli, xxa 8) ha significato cortese entro il carteggio. 2. tutto gioco: «ogni piacere amoroso » (cfr. xxx 4 e 22). 3. foste inprova: « faceste esperienza». 5. poi: congiunzione; noia: «ciö che b spiacevole». 6. tien ragion: «ha corte si-gnorile, rende giustizia»; cassar: la parte centrale e direttiva delle forti-ficazioni. L'intero traslato, serbato nel Magliabechiano vn. 1060 e (con l'errore casal) neirAmbrosiano (la tradizione del Barberiniano 4036, del Chigiano e del Vaticano 3214 coi loro affini sostituisce il banale nellapietosa mente) si ritrova in Lapo Gianni, iv 22, e ne riceve appoggio. 7. soave: «in modo insinuante ». 8-9. ne porta, ne portö (con la concatenazione di xxiv): cfr. xxxvi 14. 10. alla morte cadea: «inclinava minacciosamente verso la morte». 14. su' contraro: «stato di veglia». GUIDO CAVALCANTI 545 XXXVIII [xxxix] S'io fosse quelli che d'amor fu degno, del qual non trovo sol che rimembranza, e la donna tenesse altra sembiänza, assäi mi piaceria šiffatto legno. E tu, che se' de l'amorosö regno lä onde di merze nasCe speranza, riguarda se'l mi' spirito hä pésanza: ch'un presť arcier di lui ha fatto segno e tragge ľarco, che li tese Amore, si lietamente, che la sua persona par che di gioco porti signoria. '' Or odi maraviglia ch'el disia: lo spirito fedito Ii perdönä, vedendo che Ii strugge il suo valore. Risposta, non pero per le rime, al sonetto dantesco Guido i' vorrei, in cui si desiderava una navigazione fantastica con Guido, Lapo e le donne dei tre poeti. Col suo «vasel» (che infatti Guido tradurrä per «legho») Daňté sembrava rinnovare unö dégli elementi del plázer cavalcantiano (ni), « adorni légni 'n mar forte correnti »; di Ii änche il « řagionar (...) d'amore » (che ritornerä in Folgere, vi 44). 1. fosse: «fossi ancora». 2. non (.. .) sol che: per ün pleonasmo simile cfr. xxv 16-7. 3. sembiänza: «atteggia-mento». 5-se': «sei suddito». 6. la onde: semplicemente «dove» (cfr. Notaio, vin s). y. pesanza: cfr." xxxvi 10 ecc. 8. prest'arcier: riferito ad Amore (ma qui sarä la donna amata), ě stilema ben cavalcantiano (xxi 7); segno: cfr. xvi 13. 10. la sua persona: semplicemente «egli», come il frah-cese son cars. 11. gioco: cfr. xxxvii 2; porti: «äbbia». 35 m ■A -151 - RIME DI CORRISPONDENZA XLVII. Dante da Maianö a Dante Alaghieri per risposta del primo sonetto de la sua «vlta nuova : Di ció' che stato sei dimändatore, guardando ti rispondo brevemente, amico meo di poco canoscente, «Villana», come commenta la Giuntina Galvani, risposta per le rime al soňetto A ciascurí alma (poi primo della Vita Nuova), col quale Dante chiede ai fedeli ďAmore spiegazione ďun sogno: Amore tiene iň mano il cuore del poeta sostenéndo madonna addor-mentata tra le braccia; dopo averla svegliata, lei paventosa umil-mente pascea; quindi se ne va piangendo. « A questo sonetto fue risposto da molti e con diverse sentenzie; tra li quali fue risponditore quelli cui io chiamo primo de li miei amici.... », cioě il Cavalcanti, col son. Vedeste, al mio parere {Vita Nuova III 14). Terzo risponditore Cino da Pistoia, o piuttosto Terino da Castelfiorentino (Nalu-ralmente chere ogni amadore). Si vedano le osservazioni di Michele Barbi in Barbi-Maggini, pp. 20-31; e B. Nardi, Vamore-e i medici medievali, ora in Saggi e note di critica dantesca, Milano-Napoli 1966, pp. 263-67. 1. stato sei dimändatore: ' hai richiesto'; per la costruzione di essere + sostantivo verbale, cfr. 5. 2. guardando: ' prendendo in esame'. 3. di...: ' poco accorto ', o come direbbe Bondie con litote guit-toniana, «non-saggio ». Per 1'aggettivo (con la solita dissimilazione mosťrandoti del ver lo suo sentore. Al tuq mistier cosi son parlatore; se san ti truoyi e fermo de la mentě, che lavi la tua coglia largamente, a ciö che stingua e passi lo vapore lo qual. ti fa favoleggiar loquendo; e se gravato sei d'infertä rea, sol c'hai farneticato, sappie, intendo. Cosi riscritto el meo parer ti rendo; né cangio mai ďesta sentenza mea, fin che tua acqua al medico no stendo. meridionale, per cui. vedi canoscere e canoscenza), cfr. Nptaio, Poi no tni val, v. 24; Guido delle Colonne, Gioiosamente, v. 42, ecc. 4. suo: pleonastico per provenzalismo. — sentore: ' indizio '; con lo stesso andamento nel sonetto XXXV 7: « provando di ciascun lo suo sentore »; cfr. anche «chT senta gioia per alcun sentore » del sonetto La gran virtu, D. VI, v. 13. 5. mistier(e): ' occorrenza'. — son parlatore: 'dico'; per l'uso transitivo di parlare vedi nota al sonetto di Monna Nina, Lila, v. 12. 8. stingua e passi: iterazione sinonimica, 'cessi'; sempře in coppia nel sonetto XXXVII 2: « s'attuta né stinge », per cui vedi nota. — vapore: del corpo, cioě la temperatura; con altro significato ma in combinazione con stingere, in Inf. XIV 35-36: « .... accio che lo vapore Mei si stingeva mentre ch'era solo ». 9. favoleggiar(e): ' raccontar fayole ' (cfr. Par. II 51; XV 125). — loquendo: latinismo, ' quando parli'. 10. gravato: ' oppresso '; cfr. XX 6. — infertá: francesismo (enfer-té); vedi infertade di Jacopone (XXV32), e Brunetto, Rellorica, 54 11. 11. farneticato: ' delirato '. 12. riscritto: ' scritto a mia volta', o meglio 'in risposta'. Ri-prende la parola del proponente: «in ció che mi reserivan suo par-vente » (A ciascun' alma, v. 3); ě un tecnicismo del genere, per cui vedi Guido Orlandi a Dante, Poi che traesti infino al ferro V areo, vv. 9-10: «Non póvramente guadagnar ne voglio Anzi per rima piú te ne riseriva ». 13. Cfr. Chiaro 64 3: «non cangio il cor da vostra fedaltate ». 14. acqua: ' orina '. — stendo: ' sottopongo ad esame'. Ľamore leggero e occasionale 36 40 46 quando le se' presente: «Questa vostra servente vien per istar con voi, partita da colui che fu servo d'Amore». Tu, voce sbigottita e deboletta ch'esci piangendo de lo cor dolente, coll'anima e con questa ballatetta va' ragionando della strutta mente. Voi troverete una donna piacente, di si dolce intelletto che vi sarä diletto starie davanti ognora. Anim', e tu ľadora sempře, nel su' valore. v. 32. quando sarai di fronte alei (se': "sei"). v. 33. servente: fedele (riferito all'anima). v. 35. partita: divisa, separata (ma anche partita materialmente). w. 37-40. ora si rivolge alia propria stes-sa voce, che esce dal cuore e che si distingue daH'anima e dalla ballatetta, pur identifícandosi in parte con esse; l'impe-rativo va' ragionando invita la voce, insie-me all'anima e alla ballatetta, a parlare al- ia donna della mente desolata, distrutta del poeta. II Voi iniziale del v. 41, in cor-rispondenza con il Tu iniziale del v. 37, raccoglie tutte e tre queste istanze (la voce, ľanima, la ballatetta), tra le quali poi al v. 45 viene distinta ľanima, invitata ad adorare la donna. v. 42. alla bellezza si accompagna nella donna la gentilezza dell'intelletto, della mente e del carattere. In un boschetto trova pasturella Questa ballata segue lo schéma della pastorella, un tipo di componimento molto diffuso nella poesia provenzale e soprattutto francese, in cui si usa-va mettere in scéna un dialogo, pieno di scatti ironici e di insinuante sen-sualitä, tra il poeta aristocratico e una affascinante pastorella. Qui la pastorella, che appare al poeta vagante in un boschetto, sembra rimpiazzare, come una figura sostitutiva, la figura dolce e minacciosa della donna che ě al centro della maggior parte delle poesie di Guido Cavalcanti. Alľamore che distrugge ľequilibrio tra le facoltä psichiche, che precipita 1'amante nella paura e nella disaventura, si oppone ľamore leggero e occasionale of-ferto dalla pastorella, che ě invece tutto dalla parte della dolcezza, di una comunicazione semplice ed elementare, magica nella sua facilita. Essa si rivela bella piú della Stella, secondo uno schéma tipico per le figuře fem-minili del «dolce stil novo»: ma, a differenza della donna enigmatica ed inafferrabile, la pastorella ě immersa in uno spontaneo e felice rapporto h con la natura, ha sul suo slesso corpo i segni del piacere e della comunicazione con la materia. Sola e svincolata da rapporti sociali, appare istin-tivamente disposta all'amore, attendendo soltanto uno scherzoso richia-mo della natura (il canto degli augelli) per offrirsi. II fascino della ballata sta dunque nel trasmettere un'immagine felice di un'esperienza non pro-blematica, di un dono ďamore gioioso e gratuito, che fa balenare, tra gioia e dolzore, nello specchio di una natura favorevole e amica, la visione del dio ďamore, che invece si presenta di solito a Cavalcanti in forme minac-ciose e distruttive. Dopo la rapida indicazione dell'incontro con la pastorella nella ripre-sa (che riproduce un tipo di inizio molto diffuso nelle pastorelle in lingua ďoťl), la materia delle diverse stanze si puö distinguere nel modo se-guente: 1) Ritratto della pastorella. 2) Saluto del poeta e risposta, in cui la pastorella rivela, in termini fia-beschi, la propria disponibilita ad amare. 3) Le parole della pastorella e 1'ambiente circostante suscitano il desi-derio amoroso del poeta, che lo manifesta alla ragazza. 4) Consenso della pastorella e gioia ďamore. METRO: ballata minore di 4 stanze di 6 versi ciascuna (tutti endecasillabi), con mutazione ABAB e volta di 2 versi B(b)X, il secondo dei quali ha rima al mezzo (alia fine del quina-rio che ne costituisce il primo emistichio) con il verso precedente. La ripresa di 2 soli versi ě identica alla volta, ma con rima al mezzo addirittura doppia (pasturella / Stella / bella). In un boschetto trova' pasturella 2 piú che la Stella bella, al mi' parere. Cavelli avea biondetti e ricciutelli, e gli occhi pien' ďamor, cera rosata; con sua verghetta pasturav' agnelli; 6 [di]scalza, di rugiada era bagnata; cantava come fosse 'namorata: 8 er' adornata di tutto piacere. D'amor la saluta' imantenente 10 e domandai s'avesse compagnia; v. 2. piú che la Stella: paragone di tipo tra-dizionale (ad esempio in Guinizzelli, lo voglio del ver la mia donna laudare, v. 3, cfr. p. 270): ma qui Stella ě collettivo, in-dica le stelle in genere. v. 3. Cavelli: «capelli»; notáre i due agget-tivi diminutivi che seguono, che vogliono indicare la grazia vezzosa della fanciulla. v. 4. cera rosata: volto roseo (cera ě galli-cismo). v. 5. con il suo bastoncino pascolava gli agnelli. v. 6. [di]scalza: scalza (ma discaha e con-gettura rispetto a corruzione del testo); la notazione che segue introduce una suggestione di sensuale freschezza. v. 8. di tutto piacere: di ogni bellezza. v. 9. La salutai immediatamente con un saluto d'amore. KKiniKt tit 11 iinii)i>> ijiiiliii Si milium, del K111I 12 i8 20 24 26 ed ella mi rispose dolzemente che sola sola per lo bosco gia, e disse: «Sacci, quando l'augel pia, allor dis'fa '1 me' cor drudo avere». Po' che mi disse di sua condizione e per lo bosco augelli audio cantare, fra me stesso diss' i': «Or ě stagione di questa pasturella gio' pigliare». Merzé le chiesi sol che di basciare ed abracciar, se le fosse 'n volere. Per man mi prese, d'amorosa voglia, e disse che donate m'avea '1 core; menömmi sott'una freschetta foglia, lä dov' i' vidi fior' d'ogni colore; e tanto vi sentío gioia e dolzore, che '1 die d'amore mi parea vedere. v. 12. gia: se ne andava. w. 13-14. le parole della pastorella si svol- gono su di un tono fiabesco ed allusivo: «Sappi (sued e forma meridionale, ma anche gallicismo) che, quando l'uccello pigola, cinguetta, allora il mio cuore de- sidera avere un amante». v. 15. di sua condizione: del suo modo di essere. v. 16. audio: sentii, ascoltai (prima persona singolare del passato remoto, con de-sinenza di tipo meridionale). v. 17. Or e stagione: Ora e il momento. v. 18. di prendere gioia, di godere di questa pastorella. w. 19-20. Le chiesi soltanto la grazia di poterla baciare e abbracciare, sempre che lo volesse. v. 21. d'amorosa voglia: animata da desi-derio d'amore; la dedizione della pastorella ě immediata e totale, come accade-va spesso nei componimenti francesi. v. 23. mi condusse sotto un fresco cespu-glio. v. 25. sentío: prima persona singolare del passato remoto, come audio del v. 16; dolzore: dolcezza (gallicismo). v. 26. «che mi pareva di vedere il dio d'amore»; die ě fiorentinismo (con riduzio-ne della o finale in e). Cino da Pistoia Cib ctii' veggio di qua me mortalduolo Questo sonetto mette bene in evidenza come, sulla base stilnovistica della poesia di Cino da Pistoia, si possano trovare alcuni caratteri linguistici e tematici che anticipano la poesia di Petrarca: il poeta, che si trova lon-tano dalla donna, evita qualsiasi contatto umano. Immerso nella solitudi-ne, fugge con il pensiero verso il luogo dove ě l'amata e dove ě rimasto il suo cor. ě il solo modo per non morire e sperare di tornare vicino alia donna, che egli continua a chiamare nei suoi sospiri, anche se con voce som-messa, per non farsi ascoltare da chi non ě degno. II tema stilnovistico della lontananza, con il motivo del cuore dell'amante che fugge lontano e dei sospiri nascosti agli indegni, acquista qui nuove risonanze, per la pre-senza dello sfondo montano (che fa pensare alia «montanina» di Dante, cfr. T2.1, e sembra offrire spunti per celebri testi di Petrarca, come il sonetto Solo epensoso ipiú deserti campi, e la canzone Dipensier in pensier, di monte in monte, cfr. T2.4) e per il piú disteso abbandono melodico del-le terzine. [edizione: Poeti delDuecento, a cura di G. Contini, vol. II, cit.] metro: sonetto con struttura ABBA ABBA CDC DCD. Go ch'i' veggio di qua m'e mortal duolo, perch' i' so' lunge e fra selvaggia gente, la qual i' fuggo, e sto celatamente perche mi trovi Amor col penser solo; w. 1-4. Quello che vedo di qua (nei luogo in cui mi trovo) e fönte di dolore mortale, perche io sono lontano (dalla mia donna) e tra gente scortese {selvaggia), che io fuggo, e resto nascosto in modo che Amore mi ritrovi con il solo pensiero (cioě senza altri segni che gli rivelino la mia presenza). II terna dclln lontaiiaii/ii I miliari: effetti che s'immaginano quali grandiosi divertimenti, come rive-I lano sia il richiamo alia posizione del papa (allor sarei giocondo), sia il I conclusivo sogno erotico, ľunico che parte da una premessa non solo possibile, ma giä reale, i :; i ■ L'efficacia comica del testo dipende proprio da questa sapiente costru-zione formale: ľincalzante ritmo delle anafore, appena rallentato nella se-conda quartina, potenzia ľeffetto sorprendente e arguto determinato dal-ľirrompere improwiso, nella prima terzina, di un motivo come sempre ri-ferito a realtä universali {morte e vita), ma del tutto personale e, per que-sto, particolarmente irriverente (l'odio verso i propri genitori). II riferi-mento conclusivo ad un'owia predilezione erotica ě tanto piú comico, in quanto viene impropriamente introdotto dalla consueta formula irreale (ľidentitä di Cecco ě invece ľunico dato reale del testo). Esso produce ul-teriori effetti di umoristica ambiguitä: da un lato infatti, come si ě detto, ridimensiona la carica distruttiva di tutte le precedenti affermazioni; dal-ľaltro, incidentalmente, introduce un elemento amaro di dubbio sull'ef-fettiva possibilitä per il protagonista di realizzare anche quell'ultimo, normale desiderio (la correlazione cosi insistita alle altre ipotesi impossibili fi-nisce per farlo sembrare a sua volta impossibile). METRO: sonetto, con schema ABBA ABBA CDC DCD. ST fosse foco, ardere' il mondo; s'i' fosse vento, lo tempestarei; sT fosse acqua, i' l'annegherei; s'i' fosse Dio, mandereil en profondo; 5 s'i' fosse papa, serei allor giocondo, che tutti' cristi'ani embrigarei; s'i' fosse 'mperator, sa' che farei? a tutti mozzarei lo capo a tondo. S'i' fosse morte, andarei da mio padre; 10 s'i' fosse vita, fuggirei da lui: similemente faria da mi' madre. S'i' fosse Cecco, com'i' sono e fui, torrei le donne giovani e leggiadre: le vecchie e laide lasserei altrui. v. i. S'i' fosse: se io fossi. v. a. lo tempestarei: lo tormenterei con tempeste. v. 4. mandereil en profondo: lo farei sprofondare. v. 6. embrigarei: inguaierei. v. 8. taglierei la testa a tutti coloro che avessi intorno. v. n. similemente faria: lo stesso farei. v. 13. torrei: prenderei per me. v. 14. le vecchie e brutte le lascerei agli al- tri. Folgóre da San Gimignano e Cenne da la Chitarra l! Di gennaio (da Sonetti de mesi) Indirizzata alia brigata di un Nicoló di Nigi che fu commissario di San Gimignano nel 1309 e podesta dello stesso Comune nel 1325, la collana dei Mesi si apre con un sonetto tra i piú felici ed esemplari dello stile del-l'autore. Le quartine, come di solito in Folgóre, possiedono un carattere propriamente descrittivo: dai freddi venti invernali ci si difenderá piace-volmente grazie a stanze riscaldate dal fuoco vivace dei camini, camere e letti accoglienti, tavole allietate da confetture e vini, vestiti di tessuti fran-cesi. Le terzine, invece, mirano a «introdurre un'idea di movimento, spa-ziale o temporale, che vivifichi l'immoto allineamento iniziale» (Caravag-gi), per cui vediamo la brigata uscire di giorno a scherzare con le fanciul-le gettando contro di loro neve bianca, quindi ritirarsi quando la stan-chezza del gioco si fara sentire. Nel sonetto ě possibile inoltre riconoscere il caratteristico stile chia-roscurale dell'autore, che, mentre affida ai sostantivi, generalmente pre-cisi e ben definiti (corte, salette, camere, letta, lenzuol, seta, vaio...) il com-pito di ancorare le sue rappresentazioni a realtá concrete, delega agli ag-gettivi, di solito piú attenuati e indefiniti (hello, bella e bianca, franca), l'incarico di sfumare le immagini in una dimensione piú evocativa e idea-lizzata, a cui contribuisce l'uso sistematico di infiniti e congiuntivi, di-pendenti dalle formule fisse iniziali i' doto voi, vi dono, e simili. Nasce anche da questo contrappunto il caratteristico stile «medio» di Folgóre, estraneo tanto all'astrattezza stilnovistica quanto al tono popolaresco del-la tradizione giocosa. [EDEIONE: Folgóre da San Gimignano, Sonetti, a cura di G. Caravaggi, Einaudi, Torino 1965] METRO: sonetto. con schema ABBA ABBA CDC DCD. La giocosa brigata di Nicolô di Nigi " Lo stile «medio»