Dappoi che per pensieri ě divenuto a questa piena congiunzione delle cose segrete, lo amore non sa tenere gli suoi freni, ma incontanente17 precede all'atto e l'aiutorio cerca di messo mezzano18, e come e '1 luogo e 1 tempo possa trovare acconcio19 a parlare, e piú, che la brieve ora gli pare piú che uno anno, perché all'amante niente gh par fatto si tosto come vorreb-be: e molte cose l'incontrano20 in questo modo. Adunque, ě quella pas-sione dentro nata per pensamento di cosa veduta. A commuovere ad ama-re non basta ciascuna pensagione, ma conviene che sanza modo sia, im-perciö che pensagione con modo non suole alia mente ritornare, sieche amore non puö nascere di quella21. Postquam vero ad hanc cogitationem plenariam devenerit, sua frena nescit continere amor, sed statím procedit ad actum; statím enim adiutorium habere laborat et inter-nuntium invenire. Incipit enim cogitare, qualiter eius gratiam valeat invenire, incipit etiam quaerere locum et tempus cum opportunitate loquendi ac brevem horám lon-gissimum reputat annum, quia cupienti animo nil satis posset festinanter impleri; et muka sibi in hune modům evenire constat. Est igitur illa passio innata ex visione et cogitatione. Non quaelibet cogitatio sufficit ad amoris originem, sed immoderata exi-gitur: nam cogitatio moderata non solet-ad mentem redire, et ideo ex ea non potest amor oriri. 15. disegnare per pensieri: «tracciare nella propria mente»; ma il verbo latino rima-ri vale "ricercare, spiare". Sulla traduzio-ne (del secolo Xiv) agisce 1'effetto della nozione del disegno o «pittura» che l'a-mante fa dentro di se dell'immagine del-l'amata, diffusa variamente nella lirica del secolo xm e XTV (cfr. Giacomo da Lentini, Meravigliosamente, T1.3, Dante, Amor, da che convien pur ch'io mi doglia, T2.1, Petrarca, Se 'Ipensier che mi strugge, w., T2.4). 16. usare Io uficio: fruire, avere il godi-mento. 17. incontanente: subito, immediatamente. 18. l'aiutorio ... mezzano: cerca 1'aiuto di qualche messaggero che faccia da inter-mediario. 19. acconcio: adatto, opportuno. 20. rincontrano: gli accadono. 21. pensagione ... di quella: il pensiero moderate (che non ě quello dell'amore) non suole ritornare alia mente, cosieché da esso non puö nascere l'amore. La lirica provenzale Jaufré Rudel Canzone dell'amore di lontano Solo sei poesie ci sono rimaste di Jaufré Rudel, ma decisive per la fortuna del suggestivo tema, l'amore lontano, che le caratterizza e le domina, in un discorso poetico tuttavia sempře allusivo, senza concreti riferimenti a si-tuazioni reali. Da un'interpretazione «realistica» di quelle allusioni nacque invece la celebre Vida, che costrui un'affascinante vicenda di amore e mořte, fonte di ispirazione poetica ancora in Carducci: ]aufré Rudel di Blaia fu persona assai nobile, principe di Blata. E s'innamord della contessa di Tripoli, senza averla vista, per il bene che ne udí dire dai pellegrini che veni-vano da Antiochia. E scrisse su di leiparecchie poesie con bella musica e semplia parole. E per il desiderio di vederla, sifece croaato prendendo il mare, e sulla navefu colto da malattia e condotto in un albergo a Tripoli come morto. E lo sifece sapere alia contessa, ed ella si reed da lui, al suo capezzale, e lo strinse fra le braccia. E quando egli seppe che era la contessa, recupero subito I'udito e il respiro lodando Iddio per averlo tenuto in vita finché I'avesse vista; e cosi morifra le braccia di lei. Ed ella lo fece seppellire con grande onore nella casa del Tempio; e poi, in quello stesso giorno, sifece monaca a causa del dolore che ebbe dalla morte dilui [trad, di G.E. Šansone, cfr. ed. cit. a p. 84]. Priva di reále attendibilitá storica, la Vida traduce in vicenda concreta e struggente l'intuizione che fu propria di Rudel, quella del carattere pa-radossale dell'amore che vuole avere e non avere, diviso tra desiderio e ri-tegno. Innumerevoli ipotesi sulla figura dell'amata si sono aggiunte a quella della Vida: alcune ancora in senso biografico (si ě creduto di ricono-scervi la principessa Eleonora d'Aquitania), altre in senso allegorico-reli-gioso (vi si ě vista la Vergine Maria, la Terra Santa, la Gerusalemme Celeste): Ma, al di la di queste interpretazioni, nel tema dell'amore lontano la distanza geografica si dovrá probabilmente intendere come «metafora di una distanza morale» (Roncaglia), che rende irrealizzabile il sentimento (probabilmente non ricambiato, o socialmente impossibile): situazione Sei poesie dl «amore lontano» La Vida di Jaufré Rudel II carattere dell'amore Illusione disillusione iel racconto 11a canzone senza uscita a cui ľio poetko risponde con un elegiaco abbandono alle ptoprie fantasie, dolci e malinconiche. Nel testo che presentiamo, tale malinconia emerge giä in apertura nel contrasto tra le tipiche gioie della primavera (richiamate nei modi della ca-ratteristica tecnica provenzale del plazer, che consisteva in un «elenco di cose piacevoli» attraverso espressioni come m'es bels,jot) e ľinsensibilitä verso di esse dell'animo innamorato e dolente. Successivamente, oscillan-do tra sogno e disillusione, il poeta s'immagina prigioniero in un regno islamico, felice perché la prigionia sarebbe dovuta all'amata (allusione ov-viamente decisiva per ľestensore della Vida). Torna poi deluso alia realtä di una distanza incolmabile; di nuovo sogna estasiato la perfezione di quel rapporto quando poträ realizzarsi, e crede di poter raggiungere, con l'aiu-to di Dio, l'amata in abito da pellegrino. Definitivamente tomato alia realtä, non puô che maledire il destino per il proprio amore impossibile. Un percorso sinuoso, il cui carattere ě messo in evidenza dal prú significative artificio stiHstico del testo, la ripetizione in sede di rima (due occor-renze per ogni strofa) della parola-tema «lontano». [EDIZIONE: La poesia dell'antica Provenza. Testi e storia dei trovatori, a cura di G.E. Šansone, Guanda, Milano 1984] METRO: sette coblas (strofe) unissonans, vale a dire con rime identiche nei sette versi cor-rispondenti di ciascuna strofa (versí ottosillabi, schema ababced), e in conclusione un congedo (tornáda) di tre versi (ccd). Da notare che alia rima b corrisponde, in realtä, il ripetersi fisso di un'intera parola, la parola-tema loing (o lonh, "lontano"). Allor che i giorni sono lunghi in maggio amo d'uccelli il dolce canto, lontano, e quando poi di la io me ne vado mi risowengo d'un amor lontano. Di desiderio vado curvo e mesto, tanto che canto o fior di biancospino non m'e piu grato del gelato inverno. Gia dell'amore non sard piu lieto se non godro di questo amor lontano, perche non so piu eletta e piu gentile in nessun luogo, prossimo o lontano. Tanto e squisito e vero il pregio suo che fossi la, nel regno saraceno, a causa sua ridotto prigioniero! 10 IS Felice e triste mi allontanerô pur di vedere questo amor lontano, v. 4. mi risowengo: mi ricordo. v. 7. grato: gradito. v. 10. non ... gentile: non conosco donna piú nobile e gentile. v. 12. pregio: valore, stima, fama ricono-sciuta. 20 *5 30 35 40 45 5° ma non so quando lu polio vedere: le nostre terre stan troppo lontano! Son tanti i valichi e tanti i cammini! Ed ě per questo che non so predirlo... Ma che sia tutto come piace a Dio! Sarô felice quando potrô chiederle, pregando Iddio, ľamor nato lontano; a lei piacendo, prenderô dimora presso di lei, benché sia di lontano. Sara perfetto il nostro incontro allora quando sarô, lontano amante, vicino, esultando del nostro bel parlare. Nostro Signor son certo che non mente, per cui vedro ľamore lontano; ma per un bene che mi puô venire due mali n'ho, ché tanto m'e lontano... Ahi! cosi fossi la da pellegrino si che il mio saio con il mio bastone dai suoi begli occhi fosse rimirato! Iddio che fece quel che viene e va assecondando questo amor lontano, mi dia potere, che l'animo ne ho, che veda presto questo amor lontano, ma per dawero, in luogo che s'addice, per cui la camera come il giardino a me appaiano sempre palazzo! Afferma il vero chi mi dice ingordo e pur bramoso deíľamor lontano, che non e'e gioia a me cosi gradita come il piacere dell'amor lontano. Ma m'e proibito tutto do che voglio, ché mi stregô cosi il mio padrino da farmi amare non essendo amato. Maledizione ne venga al mio padrino che mi stregô perché non fossi amato. v. 32. due mali: la lontananza e ľamore non ricambiato. w. 41-42.. in modo tale che i luoghi in cui sarô con lei mi appaiano sempre come una reggia. v. 48. padrino: immagine del destino av verso (forse invocato, all'atto del battesi mo, da un padrino malevolo). Lanqand li jorn son lone en mai / m'es bels douz chans d'auzels de loing, / e qand me sui partitz de lai / remembra-m d'un amor de loing. / Vauc, de talan en-broncs e clis, / si que chans ni flors d'albespis / no-m platz plus que Finverns gelatz. Ja mais d'amor no-m gauzirai / si no-m gau d'est'amor de loing, / que gensor ni meillor non sai / vas nuilla part, ni pres ni loing. / Tant es sos pretz verais e fis / que lai el renc dels sarrazis / fos eu, per lieis, chaitius clamatz! [w. 1-14] Per una lettura adeguata dei versi provenzali, si rimanda alle indicazioni date nel-la Tavola 22.Jaufre Rudel, come altri grandi trovatori, sfrutto elegantemente la grande musicalita di quella lingua, come mostra rarticolazione di questa famosa canzone, con la ripetizione in fine di verso (14 volte) della parola-tema loing (o lonh, "lontano") e con l'insistenza di tre sole altre rime continuamente replicate (-di, -is, -dtz): una soluzione difficile per il poeta, ma anche una fissita sonora che ben espri-me il ritorno ossessivo di propositi e speranze difficili da realizzare. All'effetto con-tribuisce la ripetitivita cadenzata dell'ottosillabo (corrispondente al novenario ita-liano), come pure l'asprezza sonora della rima -dtz che chiude con ogni strofa. Si no-ti come gia il primo verso anticipi i caratteri fonici della parola tema loing, con un'al-litterazione che mette in primo piano la consonante / e il nesso on, con l'eco tra Lanq-, lone e en, e con la presenza di una parola assai vicina fonicamente e grafica-mente a loing come l'aggettivo lone ("ltinghi"). Bernart de Ventadorn Canzone della lodoletta Bernart de Ventadorn ě certamente il piú rappresentativo e il piú grande dei poeti provenzali. Autore di un canzoniere consistente (almeno qua-rantuno composizioni possono essergli attribuite con certezza), trattô esclusivamente il tema amoroso, ma con una straordinaria capacitä di esprimere situazioni consuete in parole e immagini vive e accorate. Basti notáre, in apertura proprio della canzone che presentiamo, quel volo esta-tico dell'allodola che si inebria di sole, e il valore poetico di un termine nuovo come s'oblia (s'oblida) per indicarne ľabbandono ad una gioia ine-sprimibile: illuminazioni di folgorante vitalita. Si tratta di risultati dawero straordinari, tanto piú se si tien conto delľassoluto distacco cercato dal poeta da ogni riferimento private e visibilmente personale (motivo anche delle scarne notizie in nostro possesso sulla sua vita). Tutto ě proiettato su un piano di esemplaritä tipka, e l'uso sistematico del senhal (immagine al-lusiva, o pseudonimo che sostituisce i nomi reaH della donna amata o di ogni personaggio coinvolto) ne ě uno dei principáli strumenti. In tal mo-do, l'amore appare nelle sue poesie come un «sentimento puro, mistica-mente contemplate e liricamente svolte secondo una tematica sovraper-sonale, svincolata da ogni immediatezza biografica: nulla di privato resta visibile, e tutto ě intimo» (RoncagUa). La Canzone dclla lodoletta ě teste tra i piú significativi di questo mon-do poetico. La visione dell'animaletto felice vale infatti a sottolineare la di-stanza dell'io poetante da una tale gioia, che anzi gli suscita invidia: la don-na amata gU si ě infatti sottratta, ma egli non sa impedirsi ďamarla, e ama-ramente riflette sul tradimento, sull'insensibilitä delle altre donne, sulla necessitä dei proprio esilio dalla societa umana e dalla poesia. Temi con-sueti della scuola trobadorica, proiettati, come si ě detto, in una dimen-sione assolutamente ideale e senza tempo. Lesito ě tuttavia personalissi-mo, e solo apparentemente drammatico: propria di Bernart, in generale, ě la capacitä di sentire la pena amorosa come qualcosa di gioioso e vitale, in un perpetuo oscillare «tra felicitä dell'amare e infeÜcitä dell'amore» (Šansone). Nella nostra canzone tale oscillazione non si verifica nella condi-zione psicologica dell'amante, ma su tutti i suoi elegiaci lamenti si river-bera rimmagine gioiosa dell'allodola, che apre il testo. Questa ě infatti la qualitä massima della poesia di Bernart: come ha osservato S. Battaglia, «sembra che il travaglio dei poeta si redima non appena si specchi nell'e-spressione. Al pari dei maggiori poeti, Bernart de Ventadorn conosce, as-sieme alla inquietante nostalgia della bellezza, la grande consolazione del-l'arte. E quando egH rievoca nel canto i sensi della sua costante trepida-zione, questa si ě giä travestita di colori piú lievi e ha sciolto o smorzato i contrasti che la premono fortemente». [EDIZIONE: La poesia dell'antica Provenza. Testi e storia dei trovatori, a eura di G.E. Šansone, cit.] METRO: sette coblas (strofě) unissonans, vale a dire con rime identiche negli otto versi cor-rispondenti di ciascuna strofa (versi ottosillabi, schéma ababeded), e in conclusione un congedo di quattro versi (eded). Quando vedo Pallodola battere gioiosa le ali contro il raggio, che s'oblia e si lascia cadere per la dolcezza che le viene in cuore, j ahi! cosi grande l'invidia mi prende di chiunque a me sembri felice, che stupisco perché d'un sol colpo non mi si fonde per la brama il cuore. Ahimě! d'amore credevo saperne 10 cosi tanto e ne so cosi poco, perché non posso impedirmi d'amare quella che mai a me darä favore! Mi ha tolto il cuore e tolto a me stesso e con se stessa tutt'intero il mondo; 15 e nel sottrarsi non mi ha lasciato che desiderio e cuore anelante. v. 14. negandomisi, mi ha negato tutto v. 16. anelante: affannato. ciö che dei mondo mi stava a cuore. 20 15 30 35 40 45 50 Non ebbi piú sopra di me potere e non fui mio dal momento in cui mi consenti di guardarle gli occhi in uno specchio che m'attira molto. Da quando in te mi rimirai, cristallo, m'uccisero i sospiri dal profondo e io mi persi come s'e perduto il bel Narciso nel riflesso d'acqua. Io piú non credo nelle donne ormai e mai potrö aver fiducia in loro; e cosi come difenderle solevo, proprio lo stesso dovrö trascurarle. Poiché nessuna mi vuol dare aiuto presso colei che mi distrugge e annienta, tutte le terno e diffido di tutte, perché so bene che son tutte uguali. In ciö dawero si dimostra donna la mia signora, ma io la deploro, perché non vuole quel che va voluto e fa per contro quello ch'e vietato. Nella disgrazia sono ormai caduto, agendo come sopra il ponte il folle; e non so come tutto ciö m'awiene, se non che troppo son montato in alto. Pieta s'e persa, ció mi par ben vero (e io che mai me ne sono accorto!), perché colei che piú dovrebbe averne, non ne ha piú nulla; e dove cercarla? Ah! quanto par male, a colui che la vede, che questo misero desideroso, che senza lei non avrä mai bene, lasci morire senza dargli aiuto! Poiché non vale con la mia signora pieta né supplica, né il mio diritto, v. 24. Narciso: noto personaggio mitolo-gico, colpevole, per la sua insensibilitä all'amore, della motte della ninfa Eco, fu punito da Nemesi, che lo fece innamora-re della sua immagine riflessa da una sor-gente: incapace di allontanarsene, il gio-vane cadde in acqua e annegö. v. 34. la deploro: la condanno, la biasimo. v. 38. il poeta allude ad un antíco prover- bio francese, che indicava 1'opportunity di smontare da cavallo quando si attraver-sa un ponte; il folle che lo attraversa in sella e come l'amante che non si ritira da un amore non corrisposto. v. 50. il mio diritto: nelle norme dell'a-mor cortese, la corresponsione delle dame a un amore ben dichiarato era un «di-ritto» dell'amante. 55 60 né che io l'ami a lei fa piacere, mai piú accadrä che io glielo dica. Cosi m'apparto da lei e m'arrendo; ella m'ha ucciso: da morto rispondo, e me ne vado, che non mi trattiene, gramo, in esilio, io non so dove. Tristano, piú nulla avrete da me, che me ne vado, non so dove, gramo. Al mio poetare rinuncio e desisto, e giä da gioia mi ritraggo e amore. v. 57. Tristano: ě un senbal che ricorre in diverse poesie di Bernart, a indicare for- se la donna amata, forse l'amico Raim-baut d'Aurenga, altro noto trovatore. Can vei la lauzeta mover / de joi sas alas contra-1 rai, / que s'oblid'e-s laissa cha-zer / per la doussor c'al cor li vai, / ai! tan grans enveya m'en ve / de cui qu'eu veya jauzion, / meravilhas ai, car desse / lo cor de dezirer no-m fon. Ai, las! tan cuidava saber / d'amor, e tan petit en sai! / car eu d'amar no-m pose tener / celeis don ja pro non aurai. / Tout m'a mo cor, e tout m'a me, / e se mezei-s'e tot lo mon; / e can se-m tolc, no-m laisset re / mas dezirer e cor volon. [w. 1-16] La ricerca linguistica di Bernart de Ventadom, che ě il maggior rappresentan-te del trobar leu ("facile"), ě sempře equilibrata, come i suoi schemi metrici: quello usato per questa canzone ě simile a quello che abbiamo giä visto adottato da Jaufré Rudel, ma con otto versi invece di sette, tutti legati tra loro da rima (men-tre nella canzone di Jaufré l'ultimo di ciascuna strofa rimava solo con i corrispon-denti delle strofě successive). Per la lettura del testo originale, cfr. le indicazioni date per quello di Jaufré Rudel (p. 86), notando ancora che ch ha valore palatale, come in ce italiano e che i nes-si lb, ill, II, hanno valore di gl, come neU'itaBano gli. E anche leggendo solo le due strofe riportate in originale si puö apprezzare la dolcezza e la cura dei suoni tipi-che del linguaggio di Bernart, qualitä in parte ridimensionate da ogni traduzione. Basti notáre l'indimenticabile lauzeta (vezzeggiativo di "allodola", quindi "lodolet-ta"), termine esemplare della simpatia con cui il poeta partecipa di tutta la vita che lo circonda; oppure osservare come il suono che indica l'azione visiva (la v) si ri-percuota sull'intera prima strofa, in termini sempře di grande rilievo {vei, mover, vai, enveya, ve, veya), e come spesso all'interno del verso le vocali accentate siano in assonanza: con una trama di é (véi... lauzéta mover; cbazér; envéya... vé; véya; desse; dezirer), intercalate e chiuse da armoniose ó (Jói; car, jauzión; car... fan). Arnaut Daniel Šestina Attivo almeno tra il 1180 e il 1195, Arnaut Daniel rappresenta il momento in cui l'arte trobadorica raggiunse il punto piú alto quanto a tecnica com-positiva e abilitä metrica. Per tali qualitä, fu il poeta provenzale piú stima-to da Dante e Petrarca, che proprio sulla base del testo che presentiamo praticarono il genere metrico della šestina e dichiararono apertamente la propria ammirazione nei suoi confronti facendone un personaggio del Purgatorio (ove ě definite «miglior fabbro del parlar materno», XXVI, 117) e dei Trionfi (in cui, posto al seguito del trionfo d'Amore come capofila dei poeti provenzali, ě detto «gran maestro d'amor, ch'a la sua terra / ancor fa onor col suo dir strano e bello»: Triumphus Cupidinis, IV, 41-42, cfr. 2.4.14). Diciotto le sue poesie pervenuteci, tutte di differente schema strofico e caratterizzate da un deciso gusto per la rima difficile, spesso aspra, e dal frequente ricorso ad allitterazioni e ad altre figure foniche. Il poeta cerca soluzioni linguistiche oscure e difficili, aspetti di un trobar clus perseguito come virtuosistica sperimentazione di nuovi percorsi espressivi. Di tale maniera poetica la šestina, il cui schema fu proprio da Arnaut formulate dopo precedenti, parziali anticipazioni, ě tra i testi piú rappresentativi: si noterä ad esempio il carattere innovativamente aspro e concreto del lessi-co, particolarmente visibile nei sei termini scelti come parole-rima (e quin-di ossessivamente riproposti in conclusione di ogni stanza, e poi riuniti nei tre versi del congedo); e coerente ě il tono non privo di rude fisicitä, pur nel ricorso al tradizionale formulario cortese (i maldicenti, 1'opposizione famihare...), con cui si esprime il desiderio nei confronti delTamata, tono assolutamente lontano dalla sentimentale e malinconica elegia di un Rudel o un Ventadorn. Non sorprendera allora se Dante riprendera lo schema di tale componimento proprio per dar voce alia sua ispirazione «petrosa» (nella šestina Alpoco giorno e al gran cerchio d'ombra, cfr. T2.1). [EDIZIONE: Arnaut Daniel, II sirventese e le canzoni, a eura di M. Eusebi, AU'insegna del pesce d'oro, Milano 1984] METRO: sei strofe di sei versi ciascuna (un ottosillabo seguito da cinque decasillabi), non rimati tra loro ma chiusi da parole-rima che si ripetono sempre uguali, distribuite nelle sei strofe secondo lo schema della retrogradazione incrociata (ogni stanza riprende prima rultima, poi la prima, poi la quinta, poi la seconda, poi la quarta, infine la terza parola della stanza precedente); e, al posto di un'eventuale settima stanza che riproporreb-be la successione iniziale, un congedo di tre versi in cui le sei parole si riuniscono tutte. II fermo volere che nel cuore rni entra non mi puö scalfire beeco né ünghia di mettimale che perde per la sua maldicenza l'anima; v. i. fermo volere: naturalmente relativo al sentimento amoroso, v. 3. mettimale: maldicente. e poiché non oso batterlo né con ramo né con verga, almeno furtivamente, lä dove non avrô zio godrö del piacere, in giardino o in camera. 10 n. Quando mi ricordo della camera dove, a mio darmo, so che nessuno entra - anzi tutti mi sono piú che fratello o zio - non ho membro che non tremi, neppure ľunghia cosi come fa il fanciullo davanti alia verga: tale paura ho di non esserle vicino all'anima. 15 in. Al corpo fossi vicino, non all'anima, e mi ammettesse di nascosto nella sua camera, perché piú mi ferisce il cuore di colpo di verga che ora il suo servo la dove lei ě non entri: con lei sarô come carne e unghia e non seguirô consiglio né d'amico né di zio. 20 IV. Mai la sorella di mio zio amai di piú né tanto, per quest'anima, che quanto ě vicino il dito all'unghia, se a lei piacesse, vorrei essere vicino alia sua camera: di me puö fare ľamore che nel cuore mi entra quello che vuole meglio di un uomo forte con una debole verga. 2-5 30 V. Da quando fiori la secca verga e da Adamo nacquero nipoti e zii, un amore fino come quello che nel cuore mi entra non credo sia state mai ne in corpo ne in anima: dovunque io stia, fuori in piazza o dentro in camera, il mio cuore non si allontana da lei quanto l'unghia (dalla carne). v. 5. zio: potrebbe indicare «spia», o «te-stimone»; oppure, come ha affermato Roncaglia, puô equivalere al «marito ge-loso» in virtú della grandissima noto-rietä ormai raggiunta dalla storia di Tri-stano, nella quale il marito tradito da Isotta, il re Marco, era appunto lo zio di Tristano. v. 9. anzi ... zio: parenti della donna, quindi ostacoli per le aspirazioni amoro-se del poeta. v. 19. la sorella di mio zio: quindi, naturalmente, «mia madre». v. 24. meglio ... verga: piú facilmente di quanto un uomo forte possa agire su un fragile bastoncino. w. 25-26. Da quando ... zii: dalle origini del mondo. VI. Cosi s'apprende e s'inunghia il mio cuore in lei come la scorza nella verga, poiche mi e di gioia torre e palazzo e camera, e non amo tanto parente, fratello ne zio, 35 che in Paradiso ne avra doppia gioia la mia anima, se mai alcuno per ben amare la entra. vn. Arnaut invia la sua canzone d'unghia e di zio a Gran Desio, che della sua verga ha l'anima, canto contesto a graticcio che, appreso, in camera entra. v. 32. scorza: la corteccia. v. 38. Gran Desio: senhal della dama amata; che... l'anima: puó significare che la donna abbia un cuore duro (anima dura come verga), oppure essere allusione oscena. v. 39. canto... entra: la canzone e come un canto intrecciato che, una volta appreso, entra nella camera di chi l'ascolta. I Lo ferm voler qu'el cor m'intra / no-m pot ges bees escoissendre ni ongla / de lauzengier qui pert per mal dir s'arma; / e pus no l'aus batr'ab ram ni ab verja, / sivals a frau, lai on non aurai oncle, / jauzirai joi, en vergier o dins cambra. II Quan mi sove de la cambra / on a mon dan sai que nulhs om non intra / -ans me son tug plus que fraire ni oncle - / non ai membre no-m fremisca, neis 1'ongla, / aissi cum fai l'enfas devant la verja: / tal paor ai no-1 sia prop de l'arma. m Del cors li fos, non de l'arma, / e cossentis m'a celat dins sa cambra, / que plus mi nafra-1 cor que colp de verja / qu'ar lo sieus sers lai ont ilh es non intra: / de lieis serai aisi cum earn e ongla / e non creirai castic d'amic ni d'oncle. IV Anc la seror de mon oncle / non amei plus ni tan, per aquest'arma, / qu'ai-tan vezis cum es lo detz de 1'ongla, / s'a lieis plagues, volgr'esser de sa cambra: / de me pot far l'amors qu'ins el cor m'intra / miels a son vol c'om fortz de frevol verja. [w. 1-24] La ricerca di effetti «aspri» propria di Arnaut si riconosce, sul piano della metrica, sin dalla scelta di aprire la šestina con un verso (ottosillabo) difforme dá restanti cinque (decasillabi). La scelta dele parole-rima risulta qui decisiva non solo ai fini del-l'articolazione concettuale del contenuto, ma anche in vista dell'aspetto fonico del těsto; e non c e dubbio che le parole scelte da Arnaut (intra, ongla, arma, verja, oncle, cambra) esprimano anche sul piano dei suoni quell'asprezza che caratterizza il loro contenuto, ricche come sono di dure associazioni consonantiche, e in particolare di r precedute da consonant! ocdusive (t, b),o di gutturali (g, c) seguite dalla liquida (1). Del resto, sono proprio questi i suoni che dominano anche nel corso dei versi, assie-me ad altre aspre allitterazioni in consonante ocdusiva (v. 4: «batr'ab ram ni ab»). Ma, okre al rilievo delle sei parole-rima, ě essenziale quello delle parole cor ("cuore", pre-sente 5 volte: e ben 3 volte nd nesso nel cor m'intra) e cors (presente 3 volte). Si noti pero che cors puó voler dire sia "corpo" che "cuore", a seconda dd caso: "cuore" come nominativo singolare puó avere la s finale, cors, mentre in tutte le altre posizioni ha la forma cor. ció crea una vera e propria sovrapposizione tra cuore e corpo, una specie di carnalitá del cuore, sottolineata ancora dalla parola-rima ongla e dal ricorre-re di termini come bees ("becco"), membre ("membro"), earn ("carne"), detz ("dito"). Roman de la Rose Guillaume de Lords - Jean de Meung // sogno del mese di maggio - Caratteri di Amore secondo Ragione (da Roman de la Rose, 21-132; 4186-4315) Delia poesia di Guillaume de Lords, della sua capacitá di «alleggerire l'al-legoria della vita amorosa con la freschezza deU'immaginazione, col nito-re dello stile, con tin senso preciso della psicologia, entro un'atmosfera di grazia elegante e d'idealita aristocratica» (Roncaglia), riportiamo come esempio la sezione iniziale dell'opera. In questi versi la voce narrante, che si presenta come un giovane ventenne, introduce i lettori al lungo raccon-to (dedicate ad una dama che desidera conquistare) di un'awentura prima solo sognata e poi realmente accaduta. Nel quadro incantato di una fiorente natura primaverile, nell'invito all'amore che essa owiamente co-munica, il poeta si vede in sogno awicinarsi gioioso ad un ruscello, poi ad un giardino (in cui entrerá per cogUervi una rosa, allegoria di un'impresa di seduzione) delimitate da un muro decorato da figure simboliche, che saranno minutamente descritte. Tutti questi elementi, propri della grande tradizione letteraria cavalleresca e cortese, vengono ripresi per awiare la vicenda di un percorso di formazione e di crescita spirituále, necessaria perché il giovane possa accedere alia Rosa. Assai diverso il brano di Jean de Meung, tratto dalla sqzione iniziale della parte dovuta al nuovo autore, ma naturalmente condizionata dalla situa-zione narrativa a cui era giunto Guillaume. Persa momentaneamente Bella accoglienza, personificazione allegorica del favore dell'amata, il narratore s'interroga sull'opportunita della propria dedizione ad Amore, né puó far-lo senza un intervento della Ragione, anch'essa personificata. Con molta vi-vacitá, ed un po' d'ironia, Ragione contesta al poeta la sua dedizione ad Amore, a cui, a suo awiso, egli si era affidato senza la necessaria conoscen-za. Per dimostrargli la sua ignoranza, Ragione propone un'incalzante serie di definizioni di Amore, strutturate tutte su uno schema ossimorico volte a sottolineare il carattere «doppio», assolutamente contraddittorio del send-