La metrica: il sonetto Cfr. Beltrami, Gli strumenti della poesia, p. 116-121 Il sonetto: un’invenzione fortunata • Forma metrica “inventata” da Giacomo da Lentini • Metro principe con la canzone della nostra letteratura • Propaggini novecentesche (ad es. Caproni, Cronistoria, 1938-1942, forma modificata di sonetto) • Diffuso, con adattamenti, in altre letterature europee Caratteristiche del sonetto • 14 endecasillabi • diviso in due parti di 8 e 6 versi • la prima parte (fronte, ottava, ottetto) si divide in due quartine (originariamente in quattro distici) • la seconda parte (sirma, sestina, sestetto) si divide in due terzine Giacomo da Lentini, Amor è uno desio che vien da core: la fronte 1 Amor è un[o] desio che ven da core 2 per abondanza di gran piacimento; 3 e li occhi in prima genera[n] l’amore 4 e lo core li dà nutricamento. quartina (doppio distico) 5 Ben è alcuna fiata om amatore 6 senza vedere so ‘namoramento, 7 ma quell’amor che stringe con furore 8 da la vista de li occhi ha nascimento; quartina (doppio distico) Schema metrico: ABAB ABAB 1 Amor è un[o] desio che ven da cORE 2 per abondanza di gran piacimENTO; 3 e li occhi in prima genera[n] l’amORE 4 e lo core li dà nutricamENTO A B A B 5 Ben è alcuna fiata om amatoRE 6 senza vedere so ‘namoramENTO, 7 ma quell’amor che stringe con furORE 8 da la vista de li occhi ha nascimENTO; A B A B Giacomo da Lentini, Amor è uno desio che vien da core: la sirma 9 ché gli occhi rapresenta[n] a lo core 10 d’onni cosa che veden bono e rio, 11 com’è formata natural[e]mente, terzina 12 e lo cor, che di zo è concepitore, 13 imagina, e [li] piace quel desio: 14 e questo amore regna tra la gente. terzina Schema metrico: ACD ACD 9 ché gli occhi rapresenta[n] a lo cORE 10 d’onni cosa che veden bono e rIO, 11 com’è formata natural[e]mENTE, A C D 12 e lo cor, che di zo è concepitORE, 13 imagina, e [li] piace quel desIO: 14 e questo amore regna tra la gENTE. A C D la prima rima della terzina riprende la prima rima della quartina Un altro esempio: ABAB ABAB CDE CDE Voi ch' ascoltate in rime sparse il suONO di quei sospiri ond' io nutriva 'l cORE in sul mio primo giovenile errORE quand'era in parte altr' uom da quel ch' i’ sONO, A B B A del vario stile in ch' io piango et ragiONO fra le vane speranze e 'l van dolORE, ove sia chi per prova intenda amORE, spero trovar pietà, nonché perdONO. A B B A Ma ben veggio or sí come al popol tUTTO favola fui gran tempo, onde sovENTE di me medesmo meco mi vergOGNO; C D E et del mio vaneggiar vergogna è 'l frUTTO, e 'l pentersi, e 'l conoscer chiaramENTE che quanto piace al mondo è breve sOGNO. C D E Un sonetto novecentesco: Giorgio Caproni Basterà un soffio d’erba, un agitato moto dell’aria serale, e il tuo nome più non resisterà, già dissipato col sospiro del giorno. Sarà come quando, per gioco, cedevi l’amato calore della mano al marmo – come quando il tuo sangue leggero, alitato appena dal tuo labbro, sulle chiome dei pioppi s’esauriva in un rossore vago di brezza: e io sentivo la pena di quel lungo tuo eccedere in amore disilluso e lontano, tu la pena di non essere sola nel nitore d’un presagio d’addio – tu già serena. Sonetti dell’anniversario, XII (Genova 18/07/1942) in Cronistoria, Firenze,1943 Un sonetto novecentesco Basterà un soffio d’erba, un agitATO moto dell’aria serale, e il tuo nOME più non resisterà, già dissipATO col sospiro del giorno. Sarà cOME A B A B frontequando, per gioco, cedevi l’amATO calore della mano al marmo – cOME quando il tuo sangue leggero, alitATO appena dal tuo labbro, sulle chiOME A B A B dei pioppi s’esauriva in un rossORE vago di brezza: e io sentivo la pENA di quel lungo tuo eccedere in amORE C D C sirma disilluso e lontano, tu la pENA di non essere sola nel nitORE d’un presagio d’addio – tu già serENA. D C D