I poeti della Scuola siciliana I criteri più sicuri per delineare in modo certo il corpus della Scuola siciliana, sono quelli che ha proposto il filologo Gianfranco Contini: il termine siciliano disegna i rimatori, di qualsiasi regione italiana, che appartennero alla Magna Curia o le gravitarono intorno, e la cui produzione occupa il primo posto nel Canzoniere Vaticano. Abbiamo appena concluso la lezione precedente parlando proprio del canzoniere Vaticano 3793. Al Vaticano, piuttosto che agli altri due canzonieri precedentemente citati, bisogna fare ricorso per analizzare il corpus dei siciliani. Questo perché questa antologia è concepita e realizzata secondo un preciso disegno cronologico e storiografico. Il compilatore del vaticano comprende perfettamente il primato cronologico e istituzionale e anche il valore unitario della Scuola, dedicandole, appunto, numerosi fascicoli, a loro volta fortemente coesi tra di loro, come mostra il fatto che ogni fascicolo si apre sempre con un autore rappresentativo e da un consistente numero di rime: Giacomo da Lentini, Rinaldo d’Aquino e Giacomino Pugliese. Dietro a loro tutto il gruppo fondante della Scuola: Tommaso di sasso Guido delle Colonne, Pier delle Vigne, Jacopo Mostacci, Re Enzo, Stefano Protonotaro, Odo delle Colonne, e lo stesso Federico ii. Dei venticinque autori, molti dei quali presentati con un solo testo, ci sono giunti circa centoventi componimenti, in maggioranza canzoni (i sonetti sono trentacinque), a questi vanno aggiunti una trentina di componimenti anonimi. In conclusione il corpus dei poeti siciliani non supera i 150 testi. Riassumendo: 1. Rimatori, di tutte le regioni italiane, appartenenti alla Magna Curia o gravitanti attorno alla Curia la cui produzione occupa il primo posto nel canzoniere Vaticano 3793 (Contini) 2. 25 autori, per un totale di 150 testi, di cui i 2/3 sono canzoni 3. Il caposcuola è Giacomo da Lentini, attivo dal 1233 nella Curia 4. Rappresentati principali: Guido delle Colonne, Pier delle Vigne Temi, motivi e convenzioni La poesia Siciliana, se si escludono alcuni sonetti moraleggianti e dottrinali, è essenzialmente poesia d’amore. L’amore cantato è con poche eccezioni quello cortese, ossia quello del fin’amor, del quale abbiamo parlato nel capitolo dedicato alla lirica provenzale. Partono da qui i tratti fondamentali di un sistema di temi e motivi che ha alla sua origine una metafora di origine feudale: ossia quella del vedere il rapporto amoroso come il rapporto tra il cavaliere e il suo vassallo. Per questo motivo, la distanza sociale tra la donna e il poeta si risolve in una specie di inferiorità dell’amante rispetto alla donna. L’omaggio feudale si trasformerà nel tema della loda (che poi sarà ripreso e sviluppato da Dante e dallo Stil Novo) e la richiesta di un compenso si trasformerà nella richiesta di merzè, ossia di grazia. A tutto questo repertorio i poeti siciliani aggiungono però delle importanti modifiche, che spostano l’attenzione non solo sul sistema di valori e il complesso delle virtù cortesi alle quali ogni amante deve aspirare, ma più che altro sulla filosofia e psicologia dell’amore: si indagano gli effetti della sofferenza, per amore, sulla psicologia dell’amante, che viene vissuta come esperienza mentale. In questo quadro va sottolineato il ruolo di protagonista che assume la figura di Amore, che diventa spesso il vero interlocutore del poeta. Il confronto con la donna diventa preminente solamente in Giacomo da Lentini, che addirittura inverte lo schema della poesia provenzale e inserisce l’apostrofe alla donna già nella prima parte del testo, mentre nella poesia provenzale questo avveniva in un secondo momento. La metrica della Scuola Siciliana Dal punto di vista metrico il repertorio dei siciliani mostra una grande coesione. Con la sola eccezione del Contrasto di Cielo d’Alcamo e del discordo di Giacomo da Lentini, i metri sono limitati alla canzone e al sonetto. Importante sottolineare la scomparsa del serventese. La canzone siciliana è formata sul modello della canso provenzale ma con alcune differenze: vengono allungate le stanze e viene eliminato il congedo, la cui funzione di chiusura fu affidata sempre alla stanza finale. Sul piano metrico l’innovazione più importante fu senza dubbio l’invenzione del sonetto, attribuita a Giacomo da Lentini. Nonostante i molti studi sull’argomento, però, la nascita di questo genere è ancora molto misteriosa. È sicuro però che la brevità del sonetto ne fecero subito un componimento molto efficace per la possibilità che dava al poeta di concentrare in soli quattordici versi tutto il suo mondo lirico. La drastica riduzione delle tematiche, infatti, ormai circoscritte al solo ambito amoroso, rendeva necessario anche un ripensamento metrico-formale. Ma, al contrario della canzone, però, che ammetteva fino ad ora solo la tematica amorosa, ma che era molto mobile e varia dal punto di vista metrico, il sonetto si apre anche a tematiche differenti (benché la tematica amorosa sia la prevalente) ma con un metro estremamente fisso. Ma che cosa vuol dire che il sonetto è un metro fisso? Essenziale per il metro non è tanto lo schema, nonostante nei Siciliani sia sempre a rime alternate ABABABAB, mentre per quanto riguarda le terzine si poteva scegliere tra due forme metriche CDECDE e CDCDCD, essenziale è che i versi siano sempre quattordici e sempre e soltanto endecasillabi e sempre divisi in gruppi da 8 e in un gruppo da 6, con una bipartizione che ha effetti importanti anche sulla strutturazione del discorso.