Giacomo da Lentini Andiamo avanti con il nostro discorso sulla poesia lirica delle origini, dicendo qualcosa su Giacomo da Lentini. Il primo e maggiore esponente della scuola siciliana è, appunto, il notaio Giacomo da Lentini, funzionario imperiale della Magna Curia di Federico ii. Abbiamo testimonianze della sua attività professionale già dal 1233 al 1240, perché redige delle donazioni per conto di Federico. Nelle sue rime si firma, appunto, come «Notaro» e nei canzonieri toscani così è nominato. Anche in Dante, che ne parlerà nel canto xxiv (vv. 5-7), del Purgatorio è nominato come «Notaro»: O frate, issa vegg’io, diss’elli, il nodo
 che ‘l Notaro e Guittone e me [Bonagiunta Orbicciani] ritenne di qual dal dolce stil novo ch’i’ odo!». L’entità del corpus poetico di Giacomo da Lentini, che comprende 16 canzoni, un discordo (topologia di canzone) e 22 sonetti, lo colloca in posizione eminente rispetto all’intero gruppo; nessun altro poeta della scuola siciliana può vantare un numero così elevato di componimenti. Oltre a questo, anche le sue corrispondenze dimostrano come a lui si guardò, da parte degli altri poeti, in quel contesto, come ad un maestro. Il riconoscimento di Giacomo come caposcuola risale, quindi, agli stessi Siciliani. Non è casuale che egli, come vedremo, sia interlocutore di entrambe le tenzoni superstiti dedicate alla natura dell’Amore e il punto di riferimento inequivocabile di tutti gli altri Siciliani, per citazioni esplicite e implicite e per allusioni: tutti i poeti gravitanti intorno alla Magna Curia si mettono, in qualche modo, in dialogo poetico e in relazione col Notaro. Anche il grande poeta Guittone d’Arezzo quando si porrà il problema, anche politico-ideologico, di fondare una nuova poesia in concorrenza a quella federiciana, assumerà Giacomo come interlocutore e avversario principale, polemizzando con le sue posizioni sulla natura di Amore, attraverso, tra le altre, la modifica e la citazione, per fare un esempio tra i tanti possibili, di Madonna, dir vo voglio. Dal punto di vista tematico e contenutistico nelle poesie di Giacomo troviamo temi ripresi dalla poesia provenzale, che saranno però modificati fino a diventare fondamentali per la lirica successiva: tra i temi più visitati, a parte il tema rappresentativo del guiderdone, ossia della ricompensa di stampo feudale che spetta ad un amante fedele, troviamo la vista / visione dell’amata, o la sua assenza, la lontananza amorosa e i suoi effetti sull’amante, l’interiorizzazione della figura femminile, la morte ripetuta dell’io non corrisposto. All’interno di questi temi generali troviamo però un progetto preciso che sembra puntare, come ha scritto Roberto Antonelli, uno degli studiosi che maggiormente si è occupato di giacomo da Lentini, «dal punto di vista retorico-linguistico, su un registro aulico e sorvegliatissimo; dal punto di vista semantico sulla rappresentazione del sentimento amoroso come fatto interiore, è lui che introduce, tra gli altri, un termine-chiave, poi cavalcantiano, spirito». Passiamo ora all’analisi di due componimenti di Giacomo: la canzonetta Meravigliosamente e il sonetto Amor è uno desio che ven da core. I testi presi in esame, da qui in avanti e per tutto lo svolgimento del corso, saranno allegati all’interno delle lezioni. Meravigliosamente Il componimento sviluppa un tema già ampiamente presente nella poesia provenzale, quello del fenhendor, ossia dell’innamorato che preso dalla timidezza davanti alla donna non riesce a manifestare in nessun modo i suoi sentimenti e, per questo, resta vittima di angoscia e turbamento (il tema verrà ripreso da Dante nella Vita nova. Qui il motivo è strettamente connesso al motivo dell’immagine dipinta, che avrà anche questo larga diffusione nella poesia successiva. Questa tematica viene dall’idea che l’amore si sviluppi esclusivamente attraverso la contemplazione dell’immagine della donna, riprodotta, per tutta una serie di processi psicologici, nell’anima dell’innamorato. Ecco la struttura tematica della canzone: -l’immagine dipinta nel cuore (st. i-iii)
 -l’incendio amoroso che non può essere nascosto (st. iv) -l’incontro con la donna e i segni dell’amore (st. v-vi) -congedo e firma del componimento (st. vii) Dal punto di vista metrico il componimento è una Canzone di tutti settenari composta da 7 stanze ognuna di 9 versi: lo schema metrico è abc, abc; ddc. Sono capfinidas le stanze i-ii e iv-v. Per capfinida, termine provenzale, si indicano le strofe di una canzone legate fra loro attraverso la ripetizione della parola o delle parole finali di ciascuna strofa all’inizio della strofa seguente. Amor è uno desio che ven da core Il sonetto fa parte di una tenzone (uno scambio di sonetti su un determinato tema), con Jacopo Mostacci e Pier della Vigna. Un primo sonetto di Jacopo Mostacci, Solecitando un poco meo savere, infatti, aveva posto un dubbio: si parla di amore come fosse una sostanza ma Jacopo è stato testimone soltanto degli effetti di una disposizione amorosa che è qualità del soggetto che ama; amore dunque non esiste. La prima risposta alla domanda su cosa sia l’amore viene data da Pier della Vigna, con il sonetto Però ch’Amor non si può vedere: secondo il poeta l’esistenza di Amore è dimostrata dagli effetti del suo potere sulla gente. Troviamo nel sonetto una similitudine tra l’attrazione della calamita sul ferro e quella dell’Amore sugli uomini. Ecco i due testi: Iacopo Mostacci Solicitando un poco meo savere e con lui mi vogliendo dilettare, un dubio che mi misi ad avere
 a voi lo mando per determinare. Ogn’om dice ch’amor à potere e li coraggi distringe ad amare, ma eo no li voglio consentire però ch’amore no parse ni pare Ben trova l’omo una amorositate la quale par che nasca di piacere, e zo vol dir omo che sia amore; e no li saccio altra qualitate
 ma zo che è, da voi voglio audire: però vi faccio sentenzïatore. Pier della Vigna Però ch’Amare non si può vedere
e no si tratta corporalmente,
 manti ne son di sì folle sapere
 che credono ch’Amor non sia nïente; Ma poi ch’Amore si face sentire dentro dal cor signoreggiare la gente, molto maggiore pregio deve avere che se ‘l vedessen visibilmente. Per la vertute de la calamita como lo ferro tra’ no si vede, ma sì lo tira signorevolmente; E questa cosa a credere m’invita ch’Amore sia, e dàmi grande fede che tutor sia creduto fra la gente. Il sonetto di Giacomo da Lentini, Amore è uni desio che ven da core, è il primo tentativo nella poesia italiana di dare una definizione del formarsi e dello svolgersi della passione amorosa, ponendo in primo piano la visione e l’immagine della donna che dagli occhi arriva fino al cuore. La concezione dell’amore di Giacomo è ripresa dal De Amore di Andrea Cappellano. Dal punto di vista metrico, dopo le rime alterne delle quartine (ABAB ABAB) il sonetto presenta nelle terzine tre rime in successione, la prima delle quali riprende la prima delle quartine.